Riprendo il tema di una mail precedente circa il principio di
indeterminazione.
In uno schema quantistico semplicemente si richiede la sospensione
del giudizio, in quanto nulla pu� permetterci di misurare la velocit�
nell'intermedio
e di ritrovare con certezza la posizione finale uguale a quella iniziale.
Inoltre in uno schema di particella libera, fatta la misura di posizione,
la successiva misura di posizione non pu� essere vincolata ad essere
la medesima di quella iniziale. Inoltre il grado di precisione scelto
nel compiere la prima misura determina il grado di incertezza della
misura successiva. Sbaglio?
Le ipotesi di De Broglie, unite con altre evidenze portarono Schroedinger
ad ipotizzare che la posizione potesse essere descritta da un'onda di
probabilit�.
in cui le componenti di Fourier nel tempo e nello spazio sono legate in base
ad una
interpretazione del numero d'onda e della frequenza come multipli
dell'impulso
e dell'energia cinetica rispettivamente. (O meglio, questo � il mio percorso
per
capire l'equazione, non so se � la via seguita da Schroedinger).
Il principio di indeterminazione diventa allora una relazione matematica
sulle trasformate di Fourier.
Ora dopo un corso di analisi due questi argomenti diventantano semplici.
Mi chiedo se sia possibile trovare un modo di raccontare questi argomenti
semplice facendo a meno delle trasformate di Fourier. Scegliendo magari
altri esperimenti chiave. Oppure analogie ottiche. Oppure la propagazione
del moto ondoso. La risposta che mi sono dato � che senza passare per
la relativit� � tutto pi� difficile e povero.
Per la mia esperienza di studente
"liceale" ho trovato estremamente arida la fisica ed i fenomeni raccontati.
La matematica utile a capirla un mondo lontano ed affascinante quanto
misterioso, come la fisica che doveva esservi celata. Solo la dinamica
elementare
mi affascin�, con le sue equazioni che, semplici su alcuni esempi, erano
alla base
di descrizioni alquanto complesse. La divulgazione di autori eccellenti
quali
Ugo Amaldi o la lettura di piccoli libelli sulla fisica nucleare,
di cui devo essere riconoscente ad un docente generoso (ma anche la
divulgazione
pi� chiassosa mi avevano convinto da tempo a studiare quegli argomenti) mi
avevano convinto del fatto che quegli argomenti non fossero astruse
speculazioni
potenzialmente esplosive, ma argomenti ricchi di risvolti positivi.
Oggi a distanza di tanti anni mi rimane una difficolt� "didattica" che trovo
sia l'ostacolo
principale alla comprensione della meccanica quantistica e ad un
avvicinamento alle
sue tematiche. Le spiegazioni di Amaldi mi affascinarono, ed il problema
della
dualit� onda corpuscolo, lo vidi trattato con estrema bellezza grazie ad un
esperienza
di laboratorio ed a situazioni di impareggiabile variet�, tuttavia mi rimase
sempre la sensazione di non capire cosa facessero quelle particelle dopo
essere passati
per spettrometri o camere a bolle e come facessero a vivere tutte insieme a
formare
un tavolo e a diventare solida materia sotto le mie dita. Se nella loro vita
quotidiana
erano onde, come mai non mi evaporavano le sedie sotto il sedere, ecco. Mi
rimase
questo. Dopo aver letto Amaldi non mi venne pi� in mente che la luce o le
particelle
fossero punti materiali. Cominciai a vedere il mondo come un invisibile moto
ondoso
non privo di consistenza e di solidit�, ma mi rimaneva il problema di capire
cosa, come
dentro una camera a bolle, continuamente localizzasse quella informe
marmellata.
Mi scuso per il modo un poco empirico, ma tutto questo ancora non l'ho ben
digerito.
In modo tale che le strisce di colore su un pavimento non avessero a
sbiadirsi.
Cio� cosa teneva quelle onde distinte e ciascuna al proprio posto. Il
problema maggiore
era quello della luce. Come poteva un miscuglio di onde piane comportarsi
come un gas?
Non riuscivo a visualizzare il passaggio. Mi mancava e mi manca ancora oggi
il
grado intermedio.
Mi sembrava che la materia continuamente dovesse sorvegliarsi
in una stretta rete di mutui condizionamenti, in modo che la sua natura
tanto proteiforme nei laboratori divennisse quella monotonia continua delle
mattonelle
di casa, della scuola, della vita quotidiana, oppure la solida pallina da
tennis che colpiva
la mia racchetta ed al tempo stesso conservasse quella natura proteiforme
che
componeva i miei pensieri, le mie sensazioni, la luce del mondo ed il suo
mistero o
il buoi dei sensi di colpa, delle angosce, delle paure. Come potevano la
probabilit�
e l'incertezza svanire in una sovrapposizione relativamente certa?
Mano a mano vari elementi si sommarono nel mio curriculum universitario.
Il teorema del limite centrale, l'effetto del potenziale come elemento
confinante,
gli effetti non lineari e la teoria di Landau, ed ecco che scopro che ancora
tutte
queste domande avevano evidentemente agitato la coscienza di gente
non solo sensibile, ma anche capace di fare fisica di alto livello, e che le
risposte
erano tutto sommato provvisorie. E' vero che la legge di Fick si deduce per
un insieme
di particelle, partendo dalle equazioni della meccanica quantistica e senza
uscire
dall'interpretazione probabilistica, e garantisce che in un campo
cristallino la diffusione
� un fenomeno ancorch� possibile, tuttavia lentissimo, � vero che in effetti
la statistica
rende la probabilisticit� dello schema quantistico un fatto marginale,
tuttavia in
tantissime presentazioni, il fatto di passare da uno schema di probabilit�
ad una
interpretazione statistica, passa per il paradigma della misura. Mentre poi
nell'uso
pratico della meccanica quantistica questo passaggio si compie pi�
spesso per effetto della legge dei grandi numeri.
Dunque spontaneamente si riesce a parlare di un insieme di fotoni, come se
questi fossero particelle, senza incorrere in difficolt� eccessive, mentre
difficile rimane spiegare in pratica cosa sia un fotone. Essendo un
pacchetto
d'onda intrinsecamente composto da una molteplicit� infinita di onde piane,
si ricorre
alla favola della debole sorgente luminosa che illumina uno schermo,
creando,
interposti due fori, le frange di interferenza, impressionando tuttavia un
grano
per volta, ed immaginando quindi fra la sorgente e lo schermo un supporto di
probabilit� determinato dalla forma delle sorgente, lasciando un poco nel
vago
il lettore riguardo alla circostanza che questo fotone che va ad
impressionare
lo schermo ha poco o niente in comune con il fotone dello schema generale
della meccanica quantistica, che � invece un oggetto astratto, perfettamente
delocalizzato.
Allora per indeterminazione mi aspetterei che questi singoli fotoni che di
volta
in volta colpiscono lo schermo foto-sensibile rilascino poi un energia
variabile
in accordo con la distanza dallo schermo e secondo la precisione della
sorgente in modo da soddisfare le identit� di Parseval. Tuttavia se io ora
volessi
svolgere questo esercizio mi dovrei chiedere quale forma ha la funzione
d'onda.
Ma ora basta. Il thread si � allungato troppo e questo problema trovo
sarebbe
istruttivo ma qui sta diventando troppo specifico rispetto al carattere di
digressione.
Quindi dedicher� un trhead specifico a questo soggetto. Per chi ha la
pazienza di
impostarlo.
"D'altra parte molte trattazioni pongono il principio di indeterminazione in
una
posizione di eccessiva centralit�, almeno su un piano didattico. Non tolgo
che
su un piano di ricerca il principio di indeterminazione e sue varianti
possano
riservare sviluppi importanti"
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Received on Sat Aug 31 2002 - 00:08:56 CEST