Re: Parlare (comunque) in italiano

From: Tommaso Russo, Trieste <trusso_at_tin.it>
Date: Thu, 28 Oct 2010 23:37:42 +0200

Giorgio Pastore ha scritto:

> 1. tutto questo non penso che possa modificare il gergo di una comunit�
> tecnica. E quindi continuer� tranquillamente a sobbalzare a seminari
> in cui si nominano targhette, continuando a comprendere di cosa si sta
> parlando. Per� troverei oltremodo triste che al di fuori della stretta
> cerchia degli addetti ai lavori non ci fosse modo di "parlare italiano".

Ascoltavo proprio oggi una trasmissione alla radio (Radio3, ovviamente)
in cui si faceva notare che l'italiano, con l'indiano (di Nuova Delhi),
e' la lingua che ha subito meno variazioni negli ultimi 8 secoli, per
cui noi riusciamo a leggere e *godere* (senza sforzi di traduzione)
testi di Dante, Petrarca e Boccaccio sentendoli quasi nostri
contemporanei: cosa praticamente impossibile e inintellliggibbbbile
(facciamo contento Elio) per un anglofono.

E' vero che prestiti e importazioni arricchiscono una lingua, ma se il
risultato fosse quello di rendere incomprensibili testi di pochi secoli
fa come per un anglogono e' praticamente inintelliggibile Shakespeare,
sarebbe indubbiamente un impoverimento. Per cui, per me, cercare un
termine che risulterebbe comprensibile anche a Galileo redivivivo, e'
una conservazione del nostro patrimonio.

> Mi ricorda un' osservazione che lessi in un trattato di Andr� Martinet,
> "Elementi di linguistica generale" , in cui l' autore, nato in Francia
> nel 1908, osservava che la maggior parte dei parigini nati prima del
> 1920 avevano de diverse vocali per due quasi omofoni (patte e p�te),
> mentre la maggior parte di quelli nati dopo il 1940 avevano un' unico
> suono vocalico.

Appunto: impoverimento. Analogo alla monocoltura vs. varieta' biologica.

ciao

-- 
TRu-TS
Buon vento e cieli sereni
Received on Thu Oct 28 2010 - 23:37:42 CEST

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