Re: Un pezzo di alta divulgazione!

From: Elio Fabri <elio.fabri_at_fastwebnet.it>
Date: Thu, 24 Feb 2022 17:01:36 +0100

Giorgio Pastore ha scritto:
> L'impressione che ho da quello che scrivi è che tu veda la
> divulgazione come una didattica "in piccolo".
Può darsi che io non riesca proprio a spiegarmi, ma no: non è quella
la mia visione.
Non potrai certo credere che io, prima di arrivare alla posizione che
conosci, non mi sia posto la domanda: a che serve la divulgazione?
(Invece temo che molti autori non si pongano la stessa domanda; ma
questo è un altro discorso che ora lascerei da parte.)
Certamente la domanda la faccio a te: secondo te a che serve la
divulgazione?
Ti dico francamente che dagli accenni che fai non riesco a capirlo.
Non deve essere una "didattica in piccolo". Benissimo.

> Il massimo cui può aspirare è di passare versioni semplificate,
> anche arrivando a semplici analogie, di conoscenze.
Che vuol dire "versioni semplificate"?
Come si fa una versione semplificata della LQCD? Anche se rivolta a
persone che dovrebbero (?) avere le basi della MQ?

> Ma prima di giudicare un articolo divulgativo, secondo me occorre
> uscire dall'equivoco di vederlo come una versione ridotta ai minimi
> termini di una lezione.
Non è quello il mio modo di vederlo. Non posso dare esempi in
positivo, perché non ho mai fatto divulgazione nella forma di articoli
come quelli di Lubicz.
Eppure qualcosa debbo aver fatto, soprattutto nella forma di
conferenze o come vuoi chiamarle, soprattutto a studenti di liceo.
Sospetto che tu le chiameresti "lezioni ridotte ai minimi termini".
Ora che ci penso, almeno un caso lo conosci:

"I satelliti di Giove. Che cosa ha veramente visto Galileo?";
lezione agli studenti del Liceo "Galilei", Trieste, 19-4-2010.

Come vedi io (in un mio file che elenca attività svolte nel corso
degli anni) la chiamo "lezione". Tu come la chiami? Come la valuti?
(Ricorderai forse che erano presenti ragazzi dalla prima alla quinta,
cosa che io non avevo prevista.)
Esempi come questo potrei fartene parecchi, ma suppongo che tu non li
chiameresti "divulgazione".

Paradossalmente si avvicinano forse di più alla divulgazione come
l'intendi alcune puntate della "Candela" (non so se le hai lette).
Dico "paradossalmente" perché in quel caso il "target" erano
insegnanti di Scienze, generalmente laureati in biologia o in chimica,
quindi con una base (anche se modesta) d'istruzione universitaria in
fiica e in matematica.
Lì era proprio il caso in cui cercavo di trasmettere quanto possibile
di alcune idee di fondo. Eppure ricordo da qualche minimo feedback che
già in quei casi incontravo alcuni scogli: per es. matematici.
Non ho dimenticato, perché mi colpì, una professoressa che per la
puntata 14, la prima di un gruppo di puntate dedicate al colore, mi
confessò di essersi persa quando avevo cominciato a parlare di
distribuzione spettrale, perché avevo scritto I(lambda).

> Tu hai le capacità e puoi permetterti di cercare di capire il "come
> si fa il calcolo per davvero". Lubicz si ferma molto prima e dà solo
> l'idea-guida da cui discendono teoria e algoritmi che non tocca.
Io ho scritto che non capisco "come si fa il calcolo per davvero"
proprio per dire che non riesco ad afferrare la tua "idea-guida".

> Penso però i tentativi dovrebbero essere giudicati sulla base dei
> risultati diretti e indiretti.
E questo come si fa?

> Detto questo, di nuovo tu stai cercando di interpretare la formula
> in modo "professionale", partendo dal significato dei singoli
> termini. L'uso che ne fa Lubicz chiaramente diverso: direi
> "analogico".
Io invece non riesco proprio a vedere nessun uso possibile di quella
formula in quel contesto.
Non è che una "terrific array of symbols", per riprendere ciò che Tait
rimproverava a Boltzmann (cit. da Bellone, "il mondo di carta", pag.
37). E lo sarebbe ancor di più se solo il lettore avesse idea di tutte
le abbreviazioni e implicazioni che si nascondono dietro quella
formula.
Se continui a provocarmi, finisce che scriverò un post apposta per
decodificare, per il lettore che ha "qualche conoscenza di relatività
e di meccanica quantistica di base", la famigerata lagrangiana.

> Si vede che non hai esperienza dell'uso ormai invalso tra gli
> studenti liceali della terminologia "risolvere un integrale" per
> intenderne il calcolo :-) Con questo non voglio dire che scriverei
> la stessa cosa ma solo che uno studente non troverebbe
> incomprensibili queste espressioni.
Conosco, conosco... ma che c'entra? Forse che una lagrangiana "si
calcola"?
La parola "equazione" la usa Lubicz. Che cosa immaginerà uno studente
leggendo di "risoluzione dell'equazione (4)"? Semplicemente nulla.
Tutto il discorso a pag. 286 gli riuscirà incomprensibile, e secondo
me ha un solo scopo: passare l'idea che quella risoluzione, essendo
"estremamente complessa", richiede l'uso dei più potenti supercomputer;
nel caso specifico, quello del CINECA di Bologna, che si classifica
all'11-mo posto nella classifica mondiale.
E ringraziamolo per non aver parlato di petaflop!

Nota tra l'altro che la vera difficoltà non sta in quanti petaflop
occorrono, ma in come riuscire a dare del problema una formulazione
algoritmica trattabile (sia pure con un supercomputer) e al tempo
stesso non troppo lontana dal problema fisico reale.
Questo nell'articolo su "Physics Today" si capisce, almeno un po'
(come si pongono i lettori di "Physics Today" rispetto a quelli del
"Giornale di Fisica"?)

> Un'aggiunta doverosa. Resta fondamentale che nel fare divulgazione,
> si espliciti sempre lo scopo limitato della stessa. Per evitare di
> dare al lettore l'illusione che l'informazione sia sufficiente a
> gestire i concetti in modo autonomo.
E quando mai si legge questa avvertenza? Puoi darmi un solo esempio?
Te lo do io, invece.

"Basi teoriche e sperimentali della meccanica quantistica"; lezione
agli studenti delle s.s.s. per un ciclo organizzato dalla Fondazione
Amaldi, Piacenza 4-2-1995.

In quell'occasione esordii dicendo agli studenti che ero stato assai
incerto prima di accettare l'invito, e che avevo deciso di mettere le
cose in chiaro all'inizio. Non ho il testo del mio discorso, ma
sebbene siano passati 27 anni, non ho dimenticato la sostanza:

"Ragazzi, avrete letto il titolo [...] Voglio dirvi subito che non
dovete aspettarvi che io possa davvero portarvi a capire quelle basi.
La fondazione della MQ ha impegnato, nei primi decenni di questo
secolo, alcune tra la maggiori menti che la nostra specie abbia
prodotto in quell'epoca.
Se io pensassi di potervi far capire i risultati di quello sforzo,
sarei semplicemente uno stupido; se voi pensaste di poterli capire,
sareste dei presuntuosi.
Quello che ho deciso di tentare è di avvicinarvi ai problemi e alle
idee che ne sono uscite. Chi tra voi ne ricavasse il desiderio di
capire di più, ha una sola possibilità: prendersi una laurea in
fisica."

Parlavi di "risultati diretti e indiretti".
Avrai certamente esperienza di come si "sente" un pubblico:
l'attenzione, l'interesse...
Credo di poter dire che in quell'occasione la mia premessa, che poteva
sembrare dura, non incise negativamente, anzi. Penso che quei ragazzi
intesero che io li prendevo sul serio, che davvero mi stava a cuore di
dargli qualcosa.
Ricordo in particolare una ragazza che mentre uscivamo dall'aula non
finiva più di farmi domande...
E questo mi porta a un ricordo più ampio. Mi è capitato più volte di
trovare ragazze più attente e interessate dei loro compagni maschi.
Questo sembra andare contro l'opinione comune che le ragazze siano
meno portate per gli studi scientifici.
Sono casi particolari e non hanno certo valore statistico, ma mi
piaceva inserire questa esperienza nella discussione.
-- 
Elio Fabri
Received on Thu Feb 24 2022 - 17:01:36 CET

This archive was generated by hypermail 2.3.0 : Wed Feb 05 2025 - 04:23:15 CET