dumbo:
> OK, sperando nell'indulgenza del moderatore dato
> l' evidente OT . Ma forse non è del tutto OT.
Questo snodo che rilevi e' sottilissimo:
se per espisteme (scienza) si intende il discorso
che indaga l'innegabile o cio' che e' a prova
di errore e di incoerenza,
per quanto possibile alla razionalita' umana,
allora non c'e' OT, invece,
se si vuole isolare la realta'
e ridurla a cio' che l'interpretazione dell'esperienza
fornisce come responso ad esperimenti particolari
allora puo' esserci OT.
In ogni caso chi ha idee migliori e meno confutabili
di quelle discusse per descrivere il divenire e le sue cause
e' il benvenuto, a patto che voglia dialogare liberamente.
> quindi confermi che si tratta di un teorema ?
Di solito lo si intende come teorema argomentativo,
ovvero la sua validita' e' dedotta a partire da
un principio, in questo caso specifico dal pdnc
(che a sua volta non viene semplicemente
posto come principio-assioma ma come principio
incontrovertibile).
> Ho letto su Ludwig Ott che nella scolastica il principio di causa
> è un teorema ma l' Ott non dice come si dimostra. Molinaro (se
> ho capito bene lui e il tuo post) usa la strada del divenire e il
> principio secondo cui il non essere non può dare l'essere; ho capito
> bene? E ci sono altre dimostrazioni del TC, che tu sappia?
> Il resto lo snippo perchè mi sembra chiaro.
Sì, mi pare che tu abbia capito bene,
la causalita' e' cio' che toglie
una certa contraddizione nel concepire il divenire.
Tanto per capire il senso di questa affermazione,
consideriamo la famosa prima legge newtoniana:
un corpo persevera nel suo stato di quiete
o di moto rettilineo uniforme *finche' una causa*
(in questo caso una forza) non interviene
ad alterare lo stato fondamentale del movimento.
In altre parole, per concepire un cambiamento
di uno stato fondamentale e' necessario considerare
qualcosa d'altro rispetto all'ente che si trova
nello stato fondamentale.
In MQ la situazione e' ancora piu' semplice
perche' alla lagrangiana (o hamiltoniana)
della particella libera si aggiunge il termine d'interazione
(che perturba lo stato fondamentale).
Per rendere ancora piu' chiaro il discorso consideriamo
l'interpretazione atomistica dei concetti di essere e nulla.
Il primo termine e' reso come il "pieno",
ovvero cio' che esiste come materia
o qualcosa che fisicamente e' misurabile in qualche modo,
mentre il secondo termine e' il "vuoto" del cronotopo-pseudoeuclideo
ovvero la mera possibilita' di "occupare" un punto-evento
dello spazio-tempo. In questa evidente riduzione dei concetti
di essere e non-essere in pieno e vuoto,
il divenire dev'essere pensato come
un cambiamento del moto degli a-tomi.
Qui l'atomo e' inteso in senso meta-fisico
come la parte teorica piu' piccola
del pieno-esteso del cronotopo
al di sotto della quale
non ha senso considerare altre sottoparti.
Non bisognerebbe pensare agli atomi fisici
che sono in realta' fisicamente divisibili in sottostrutture
ma piuttoso si potrebbe pensare alle stringhe fondamentali
che per principio non hanno parti divisibili fisicamente misurabili
(la teoria delle stringhe non e' certa,
ma e' interessante studiarla per i suoi asserti di fondo).
E' facile vedere che il cambiamento,
rappresentati dalle collisioni (oscillazioni) casuali degli a-tomi,
sono descritti dalla sola causa efficiente
e le altre cause sono completamente annullate.
Quanto sia conveniente espungere dalla fisica moderna
le altre cause e' un discorso molto dibattuto ma esula dai limiti
di questa discussione anche se, gia' a questo livello,
si potrebbe inferire che il pensiero e gli stati
di coscienza devono essere descritti atomisticamente
ovvero senza una causa finale e senza, quindi,
il concetto di liberta' del singolo individuo
(e quindi senza alcuna responsabilita', ecc.).
Affermare che una struttura complessa di particelle elementari
(ad esempio il cervello umano)
crei un novum categoriale, a mio avviso, e' ingiustificato
proprio perche' fa scaturire nuovi principi dalla configurazione
degli enti e non dall'essere.
Quindi, ricapitoliamo,
la determinazione piu' generale possibile (significato piu' semplice pensabile)
e' l'essere, che si contrappone al nulla.
A questa verita' di pensiero si aggiunge
la certezza dell'esperienza che ci "attesta" il divenire.
Noi osserviamo che le cose cambiano, nascono,
muoiono e si trasformano. Non abbiamo nessun dubbio,
almeno in prima battuta, sulla certezza di tali cambiamenti.
Ma se la ragione impone che dal nulla nulla si genera
e, viceversa, dall'essere solo l'essere si ha,
come avviene il divenire? Come si concilia la verita' di ragione
con la certezza empirica?
Per risolvere tale difficolta'
l'interpretazioine elaborata da Democrito
e dagli amici della materia
suppone che l'ente inteso come essere-pieno
esca dal nulla-vuoto,
si trasformi tramite cause efficienti
e ritorni nel nulla-vuoto.
Un pezzo di carta e' composto da a-tomi (stringhe)
interagenti secondo una particolare configurazione
nello spazio-tempo n-dimensionale.
Una causa (interazione) esterna determina un cambiamento,
ad esempio, il foglio inizia a bruciare.
Nello stato finale si osserva (certezza sensibile) una nuova
configurazione degli a-tomi precedenti,
sempre nello stesso spazio-tempo n-dimensionale.
La configurazione che c'era prima e' cambiata,
in particolare si e' nullificata,
non c'e' piu' nell'universo,
e la nuova configurazione,
che prima non esisteva se non in potenza,
e' uscita dal nulla per apparire nell'ente diveniente.
Cio' che era in potenza
e' divenuto in atto cio' che effettivamente
si e' trasformato.
Osserviamo, infine, che il sostrato,
ovvero cio' che permane nel cambiamento
e' la materia complessiva in tutte le sue forme
(massa ed energie di vario tipo).
La descrizione fisicista e' davvero semplice
ma penso che sia facile accorgersi che paga
un prezzo salato per la drastica riduzione
di *tutta* la realta' osservabile della totalita' dell'essere
in una elementare concezione materialistica.
Per le altre dimostrazioni che chiedi,
secondo me, potresti seguire la breve ricapitolazione storica
che offre il Molinaro e approfondire gli argomenti direttamente
sui testi originali dei pensatori che per primi
hanno discusso i problemi legati al cambiamento:
Parmenide, Platone, Aristotele e Democrito.
Parmenide ritiene che il divenire sia contraddittorio
perche' l'essere non puo' non-essere e il non-essere
non puo' essere. Ogni tentativo di concepire il divenire
e' contraddittorio perche' ritiene che l'essere sia un non-essere
e viceversa. Sono famosi e divertenti i numerosi tentativi
del suo allievo, Zenone, che ha cercato, attraverso la dialettica
(di cui puo' considerarsi il padre),
di confutare il divenire. Ma va chiarito che anche per
Parmenide e Zenone vale la certezza sensibile del movimento.
Essi non si sognano minimamente di pensare che il moto non esista,
ma vogliono richiamare l'attenzione sulla questione che,
rispetto alla validita'del Logos,
alla certezza sensibile non viene riconosciuto
un valore validativo incontrovertibile.
Platone, Aristotele, Democrito (con l'interpretazione atomistica)
e tutto il pensiero successivo, scientifico e non,
con la sola eccezione dell'Innominato, di cui abbiamo gia' detto,
concepiscono il divenire come un cambiamento dell'ente finito
che passa nell'essere-altro,
ovvero e' un nientificarsi della configurazione degli elementi ultimi
e non dell'intero sostrato.
Qualcosa durante il cambiamento resta invariato
e qualcosa d'altro si trasforma.
Ma per rendere coerente il processo del divenire
e' necessaria, in ogni caso, la causa del cambiamento.
Schematicamente abbiamo le seguenti posizioni storiche:
1- non esiste il divenire, e' solo illusione
(Parmenide e l'Innominato);
2- esiste il divenire:
2a- il divenire e' regolato dalla causa efficiente
(Democrito e amici della materia);
2b- il divenire e' regolato dalle quattro cause:
efficiente, formale, materiale e finale
(amici della meta-fisica).
Bisogna rilevare che gli amici degli a-tomi devono ridurre
tutta la realta' alle configurazioni degli elementi materiali
ed hanno evidentemente non poche difficolta' a definire un concetto
astratto come la giustizia o quello matematico
di numero o di infinito attuale.
D'altro canto gli amici della meta-fisica hanno diverse difficolta'
a mostrare l'evidenza dell'innegabilita' delle forme astratte.
Infine, per quanto riguarda la posizione della negazione esperenziale
del divenire la situazione e' piu' complessa perche' bisogna ragionare
solo in termini astratti per confutare, eventualmente, una tale posizione
che e' piu' originaria dell'esperienza stessa, quindi, non la presuppone
ma ne e' l'interpretazione.
Il "mettersi a camminare",
tanto per confutare la tesi dell'illusione del divenire,
non coglie il punto dibattuto
ma mostra soltanto una difficolta' interpretativa.
E' bene sottolineare che ragionare su posizioni
di cui non si condividono le conseguenze e' molto istruttivo.
E' un buon esercizio per la dialettica discorsiva
ragionare "contro" piuttosto che "a favore" di una tesi
perche' il nostro avversario sicuramente ci martellera'
con estrema durezza sui nostri punti piu' deboli
mentre coloro che la pensano come noi
cercheranno di evitarli se mai li conoscessero.
Ecco perche' ritengo utile prendere in considerazione
(che non significa accettarne le tesi)
il nostro famoso pensatore italiano che non nomino
per evitare facili e ingiustificati travisamenti.
Ognuno di noi, in base alle sue capacita' argomentative,
puo' farsi un'idea precisa ed esplicita sulla realta' del divenire
anche se forse non sa che ne ha gia', da sempre,
una particolare visione del tutto operante nella sua vita.
>> Infatti, un famoso pensatore italiano sostiene che tutto il pensiero
>> occidentale, compreso quello scientifico, e' folle in quanto ritiene
>> che gli enti si nullificano nel processo del divenire.
>
> quindi costui nega il divenire?
> (mi piacerebbe chiedergli: se la scienza è folle come mai
> funziona così bene? )
Nega il modo con cui la scienza moderna
e il pensiero occidentale pensano il divenire.
Il fatto che qualcosa funzioni non e' un argomento incontrovertibile
perche' nulla ci assicura che domani continui a funzionare.
Il pdnc vale sempre perche' e' innegabile,
e non e' qualcosa che funziona quando si attiva la sua funzione,
semplicemente e'.
Se osserviamo la storia delle teorie fisiche
ci accorgiamo che gli asserti, basati sulla praticita',
prima o poi non hanno resistito contro la critica.
Ma quanto sia corretto isolare i fenomeni della realta'
per studiarli nei laboratori dove vengono "riprodotti" e
"manipolati" artificialmente, e quanto sia del tutto
coerente ed immune da errori l'interpretazione materialistica,
puo' dipendere dal modo con cui si concepisce il divenire
e dal modo con cui si trascura la totalita' dell'essere.
Se e' vero che la materia si trasforma
e il passato, come il futuro, e' nientificato,
allora non c'e' nessun motivo per seguire regole normative.
Ad esempio, il rispetto per la vita delle generazioni future
non ha nessuna evidenza fattuale, adesso,
infatti ancora non ci sono
e quando ci saranno
noi non ci saremo piu'
per rendere conto delle nostre azioni.
Se tutto e' dominato dalla causa efficiente
non c'e' scampo al destino della necessita'.
Se la liberta' di scelta e la responsabilita'
delle conseguenze delle proprie azioni,
scaturite dalla scelta, non esistono,
allora ogni discorso teleologico
e deontologico e' nullificato.
Come vedi, in base alle premesse adottate
per descrivere il divenire
si ottengono conseguenze molto diverse tra loro,
il cui impatto assiologico e' terrificante.
L'uomo contemporaneo e' dominato dalla tecnica
e s'illude di poterla gestire con le categorie che ha.
> vorrei chiederti una cosa. Posto X = ente qualunque, se ho
> capito bene il divenire di X suppone un agente Y distinto da
> X, perchè X non può dare a sè stesso l'essere che non ha.
> E' questa la ragione?
L'idea in generale l'hai capita,
del resto e' elementare,
pero' bisogna chiedersi
se si e' in grado autonomamente
di mettere insieme,
in modo argomentativo (mostrando i vari argomenti pro e contro),
i vari concetti di potenza, atto, sostrato e causa
dopo aver chiarito l'essere, il nulla e la necessita'
(eventuale) del divenire.
L'autocausa, invece, e' possibile solo, evidentemente,
con un motore (cio' che causa un movimento)
che a sua volta non e' causato da nessuno altro.
E' evidente perche' se la catena delle cause e' infinita
allora bisogna rendersi conto che tale situazione
significa che la causa non ha possibilita' di attuarsi,
ovvero la causa si dissolve, non c'e', e si cade
di nuovo nel divieto del pdnc
che distingue i due istanti del prima e del poi.
Abbiamo visto che nell'interpretazione atomistica
le cause si riducono a quella efficiente:
ogni corpo mobile o persevera nel suo stato fondamentale
o viene mosso da una causa efficiente esterna.
Non c'e' altro da dire per una tale interpretazione,
pero' bisogna far vedere se tale interpretazione
riesce a descrivere coerentemente tutti gli aspetti
dell'esperienza e del pensiero.
>
> Ora c'è un problema: mentre è evidente se il divenire è in
> positivo, cioè se è un acquisto di essere (un perfezionamento),
> non mi sembra altrettanto evidente se il divenire è in negativo,
> cioè se è una perdita di essere (un deterioramento).
E' la causa esterna che prende o cede la forma attualizzata.
Dato che la potenza non e' atto,
e, finche' resta tale, non ha nessuna possibilita'
di attualizzarsi, quindi,
non puo' cambiare da sola (deve passare).
D'altro canto, se pensiamo all'atto del sostrato
dobbiamo ammettere che e' gia' attualizzato (in atto),
ovvero e' gia' passato.
L'uno ancora non c'e' l'altro c'e' gia'.
Allora, solo una causa esterna al sostrato,
che e' a sua volta in atto,
puo' attualizzare la potenza del sostrato
e puo' "cedere" la forma attualizzante
alla potenza attualizzabile
che diventa pertanto atto del sostrato.
La perdita e l'acquisto di essere pa parte dell'ente
e' determinato dall'azione della causa.
Come vedi, e' davvero interessante
cercare di raccapezzarsi tra questi concetti
che possono sfuggirci tra le mani
se il pensiero non li fa propri.
Ma dev'essere chiaro che tutto il pensiero scientifico
ed ogni altro pensiero
dipende decisamente dal modo con cui
si risolvono le difficolta' del divenire.
> Infatti potrei dire: un conto è acquistare essere (perfezionamento)
> altra cosa è perderlo (deterioramento); nel primo caso l'acquisto di
> essere richiede una causa perchè il non essere non può dare l'essere,
> e dunque X non può dare a sè stesso quella perfezione
> che ancora non ha; ma nel secondo è proprio necessaria una causa?
> Perchè adesso non si tratta di acquistare essere ma di perderlo.
> Insomma: certamente il non essere non può dare l'essere, però la frase
> inversa, cioè " l'essere non può perdere almeno in parte il proprio essere"
> non mi sembra altrettanto evidente.
Bene, ragionando in questi modi puoi giungere a conclusioni
di cui il tuo senso razionale puo' considerarsi
soddisfatto oppure no.
Si puo' provare a trovare altri argomenti per confutare
oppure tentare di veri-ficare (rendere vero con l'esperienza fattuale)
le varie ipotesi finche' non si riesce a trovare un'incoerenza
o una strada inconfutabile.
Mi viene in mente un argomento di Plotino:
per quale motivo la causa incausata "deve" produrre
altro da se' che ha minore essere? Cosa la spinge?
Ma se qualcosa la spinge allora non e' piu' incausata.
Ritornando al tuo discorso,
se l'ho ben capito,
credo che si possa dire
che e' sempre la causa che rende attuale
cio' che e' gia' in potenza
per cui se l'ente ha in potenza
una sua degenerazione-privazione
allora attraverso una causa si attualizza.
Ma non puo', in ogni caso,
senza causa esterna transitare dalla potenza all'atto.
Ora, se per esperienza osservo
una degenerazione allora ne prendo cognizione e certezza,
ma se tu ti chiedi qual e' la causa finale,
ovvero perche' avviene tale degenerazione
allora sara' sempre la mappa delle cause
che cerchera' di fornire una spiegazione teleologica.
Ad esempio, un ente finito in quanto e' finito
non puo' avere tutto l'essere per cui *deve* avere
delle privazioni in potenza
che quando si attualizzeranno
diventeranno anche sensibilmente evidenti, ovvero certe.
(Dal concetto di privazione dell'essere e' possibile elaborare
la famosa interpretazione dell'ingiustizia e del male).
>> Vorrei sottolineare come dalla semplice supposizione che qualcosa esista
>> si passa per costrizione logica al pdnc
>
> ecco un punto interessante; vuoi dire che il pdnc non è
> un postulato autoevidente, ma un risultato che si trae dalla
> constatazione che qualcosa esiste?
Diciamo che e' un risultato apagogico, ovvero,
il risultato gia' presuppone il suo principio.
Intendevo dire che per pensare al pdnc
devo avere chiaro sia il concetto di essere
e sia il concetto del discorso argomentato.
Ma se un eventuale confutatore del pdnc
vuole tentare una falsificazione del principio
allora proprio' perche' il suo intento
e' distinguere il falso dal vero
deve presupporre il pdnc,
il confutatore e' costretto necessariamente dalla ragione discorsiva
a riconoscere che cio' che vuole confutare
lo deve prima presupporre.
In questo senso intendevo dire che dal concetto di essere
si "passa" al pdnc, nel senso che discende dai significati
argomentativi.
> Vuoi dire che la nostra mente elabora il pdnc dal fatto che
> esiste qualcosa? (cioè: constata che ogni cosa è uguale a sè
> stessa, e da qui ricava il pdnc ?).
Certo, dalla riflessione sul concetto di essere e di identita'
il pensiero giunge a scoprire il pdnc
ma non e' una dimostrazione.
La riflessione razionale ci porta a concludere
che il pdnc era gia' presupposto
nel momento in cui e' iniziata la riflessione.
E' una conclusione che e' anche una premessa.
Questo tipo di ragionamento e' detto di tipo riflessivo,
ragiona su se stesso, pertanto,
non e' assimilabile alla dimostrazione sillogistica
(logica formale o dimostrazione matematica).
>> Infine, dalla pensabilita' del movimento si arriva al concetto di causa
>> come necessita' argomentativa se si assume che vogliamo seguire
>> la ragionevolezza del pensiero e non l'arbitrarieta'
>> dell'improvvisazione o dell'immaginazione.
>
> cioè: togli la causa e il divenire resta senza spiegazione.
.. resta senza spiegazione
ma e' *anche* contraddittorio
perche' fa coincidere la potenza e l'atto
che per il pdnc non possono essere coincidenti
(la potenza ancora non e', e l'atto gia' e',
quindi l'essere-atto non puo' coincidere
con il non-essere-potenza).
> A questo punto ti chiedo se è giusto il discorso che segue;
> scusa il linguaggio rozzo (non sono un filosofo) ma forse
> riesco a rendere l'idea.
E' impossibile non essere filosofi
perche' ognuno ha il suo stile di vita
e prende continuamente decisioni che discendono dai propri
presupposti gnoseologici (espliciti o impliciti alla coscienza).
:)
>
> Consideriamo un ente X finito; se è finito, è perfettibile
> cioè capace di acquistare ulteriore essere: infatti la finitezza
> implica la perfettibilità perchè non esiste un limite superiore
> finito all' essere. Dunque:
>
> finito ---> perfettibile ( 1 )
>
Ok, pero' bisogna stabilire il significato di perfettibile
che puo' essere ambiguo dato che e'
legato ad un miglioramento (assiologico)
ma puo' esserci anche un peggioramento.
Commento dopo, dove hai rilevato un'osservazione simile.
> Ma se X è perfettibile non può essere assoluto (per assoluto intendo
> autosufficiente, indipendente da tutto) ma deve dipendere da qualcosa.
> Infatti se X fosse assoluto, avremmo che X il proprio perfezionamento,
> che per ipotesi è possibile, dovrebbe e potrebbe farselo da solo (perchè
> indipendente da tutto); ma come potrebbe fare? X dovrebbe dare a sè
> stesso quel che ancora non ha, il che è assurdo perchè un ente non può
> dare, nè agli altri nè a sè stesso, ciò che non ha. Dunque:
>
> perfettibile ---> dipendente ( 2 )
>
> Da ( 1 ) e ( 2 ) otteniamo:
>
> finito ---> dipendente
>
> Conclusione: X, essendo finito, dipende da qualcosa, Y ,
> che non è X. Cioè: tutto ciò che è finito dipende da qualcos'altro.
>
> Può andare come dimostrazione del TC ?
E' la parte successiva che si riferisce alla causa finale
e non alla causa in generale.
La prima parte, infatti, deve riferirsi
solo al toglimento della contraddizione
tra essere in potenza ed essere in atto,
ovvero una causa e' necessaria per rendere
coerente il passaggio tra potenza ed atto.
Ma quali siano queste cause
riguarda un successivo approfondimento.
Fino a questo punto anche l'interpretazione atomistica
accetta senza problemi la causa efficiente.
Per parafrasare un noto libro
possiamo dire che gli atomi sono egoisti,
vogliono soltanto urtarsi casualmente fra loro per sempre.
Non sentono nessun altra ragione
ogni discorso sulle motivazioni e sulle scelte
non e' che illusione perche' nasce dal nulla,
infatti gli atomi sono privi di qualsiasi causa finale.
> Possiamo dire che è sostanzialmente la dimostrazione di Molinaro,
> oppure è un' altra cosa ?
Non ho il libro sottomano ma se non ricordo male il Molinaro
procede in tre passi:
1- esposizione storica: Parmenide pone il problema,
Platone trova come pensare l'essere del non-essere
ossia l'essere-altro, Aristotele risolve il passaggio
tra il non-ancora e l' essere-gia' tramite la causa;
2- dimostrazione del divenire in senso astratto
tramite i concetti di potenza, atto e causa;
3- dimostrazione del divenire con l'esplicitazione delle quattro cause.
> Bisognerebbe poi specificare meglio il senso della parola
> "perfettibile"; è intuitivo che una persona può perfezionarsi,
> e anche un oggetto inanimato (un blocco di marmo informe
> può diventare una statua); ma un essere inanimato e privo
> di struttura come l'elettrone come fa a essere perfettibile?
Ottima osservazione.
Facciamo un esempio per chiarire
perche' esiste la perfettibilita'
o se un elettrone si perfeziona.
Se ricorro all'esperienza devo ammettere
che la configurazione della disposizione degli elettroni
e dei nuclei degli atomi di un cervello
assume delle caratteristiche esperibili
decisamente diverse se gli stessi elementi
vengono disposti in un ordine casuale.
Tra le due configurazioni ho un criterio per stabilire
quali delle due ha un valore maggiore rispetto all'altro?
Un criterio fondamentale potrebbe essere l'autoriflessione,
la capacita' che ha il cervello
di sviluppare un pensiero di pensieri.
Queste certezze empiriche possono indicarci
che gli elementi fondamentali dell'essere
non possono essere spiegati solo con la causa efficiente
ma sono necessarie anche altre cause.
Gli elettroni "amano" organizzarsi intorno ai nuclei
per formare strutture altamente complesse
che non sono prive di scopo.
> Credo che la difficoltà si possa superare intendendo
> "perfezionamento" come aumentata capacità di incidenza
> sul reale: chi cresce in bontà, cultura, senso dell' umorismo,
> forza fisica eccetera accresce la sua capacità di agire sulla
> realtà. E allora è chiaro che anche l'elettrone è perfettibile,
> per esempio può essere accelerato acquistando un' energia
> che potrà essere spesa per cambiare l'ambiente e quindi per
> influenzare la realtà.
Esattamente.
Ma il punto importante consiste nel non cadere
nella trappola di pensare all'interpretazione
atomistica nell'infinitamente piccolo
e passare, senza giustificazione,
a interpretazioni mentaliste
che sono del tutto sconnesse
alla totalita' dell'essere.
>
> Ciao e grazie,
> Corrado
Ciao e grazie a te.
--
Anselmo
Received on Tue Jul 13 2010 - 15:13:07 CEST