Re: Potenza di una corrente elettrica alternata vs. frequenza

From: Elio Fabri <elio.fabri_at_fastwebnet.it>
Date: Wed, 26 Apr 2017 11:53:51 +0200

La mia opinione è che Soviet_Mario confonda due situazioni del tutto
diverse.
La propoz. alla frequenza vale per i singoli fotoni.
Quando hai a che fare con sistemi macroscopici (come le comuni onde
e.m. usate nelle comunicazioni di tutti i generi) l'esistenza dei fotoni
è irrilevante.

Giovanni R. ha scritto:
> Con i circuiti nei quali la potenza viene trasferita solamente
> tramite conduttori, la p è semplicemente proporzionale a v^2.
Questo è vero molto pi in generale. La restrizione che hai scritto è
inutile.

> Pensiamo ad un carico resistivo, con cosfi =1, in ogni istante si ha:
> p = v*i , ma i = v/R quindi p = v^2/R.
> ...
Calcolo corretto, e valido in generale (v. appresso).

> Invece,quando la potenza viene trasmessa tramite un campo magnetico
> variabile, solitamente in modo sinusoidale, ad esempio con le
> antenne, ma anche con i trasformatori, allora la potenza dipende dalla
> frequenza, e precisamente dal suo quadrato.
Questo in vece secondo me è puro nonsense.

> Ed è per questo che la saldatrice tipo inverter lavora con quella
> frequenza; cosi il suo trasformatore è molto più piccolo del
> corrispondente a 50 Hz, con la stessa potenza trasmessa dal primario
> al secondario.
La cosa è ver, m per ragioni del tutto diverse da quelle che dici.

> Per provare quanto detto sopra è sufficiente pensare alla fem indotta
> che è proporzionale a f.
> La tensione che si rende disponibile al secondario è circa uguale
> alla fem indotta, solo un poco più piccola.
> Quindi la p è proporzionale a f^2.
La teoria del trasformatore, anche nelle ipotesi più semplici (v.
appresso) è un po' più complicata di come credi.
Il punto essenziale è che anche la corrente che scorre nel secondario
produce fem, nel primario e nel secondario.

Non ho intezione di scrivere tutte le equazioni, ma credo sia ben noto
che se si trascurano tute le perdite (ohmiche e per isteresi), il
flusso disperso, e si assume linearità fra H e B nel ferro, le
relazioni sono assai semplici:

V2/V1 = n2/n1
I2/I1 = n1/n2
V2*I2 = V1*I1.

Su un carico R avremo

W = R*I2^2 = V2^2/R = V1^2*n2^2/(n1^2*R)

(tutte le V e I sono da leggersi come efficaci).
Come vedi, non c'è traccia della frequenza.

La ragione per cui aumentndo l frequenza si può usare un trasf. più
piccolo a parità di potenza, è un'altra.
Ha a che fare con la *saturazione* del ferro.

nelle stesse ipotesi di cui sopra, abbiamo

V1 = n1*S*w*B (*)

dove S è l'area della sezione del ferro, w = 2pi*f B è l'induzione
magnetica nel ferro.
Dobbiamo supporre fissati V1, V2, R; quindi anche n2/n1.
Ma esiste anche un limite superiore Bsat a B, per non avere
saturazione.

Quindi per la (*)

n1*S*w > V1/Bsat.

Abbiamo quindi diverse scelte:
- aumentare S (trasf. più grosso)
- aumentare n1
- aumentare w, ossia f.
Però non possiamo aumentare n1 a piacere, perché a parità di
dimensioni del trasf. ciò significa filo più sottile e più lungo,
quindi aumento delle perdite ohmiche.
Fin qui le avevamo trascurate, ma nella costruzione pratica non si
possono trascurare, altrimenti cala il rendimento del trasf. e aumenta
la potenza dissipata che bisogna rimuovere (raffreddamento).
Così si vede che per ridurre le dimensioni l'unica via è aumentare la
frequenza.

Il tuo discorso sulle antenne è ancora meno chiaro.
Non so proprio vedere in quali condizioni, per un'antenna, la potenza
vada come il quadrato della frequenza.
Qui vale un'obiezione generale a un comune modo di esprimersi: quando
un certa grandezza dipende da diverse altre, non ha senso dire "A è
prop. a B" se non si specifica "a parità di ..."
Quando vari B ed enunci la dipendenza di A da B, quali altre
grandezze tieni ferme?
                                                     

-- 
Elio Fabri
Received on Wed Apr 26 2017 - 11:53:51 CEST

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