A questo punto si può cominciare a capire che cosa vorrebbe essere (ma
non è) la fig. 42-18 di Feynman: una carta dello spazio-tempo, con due
coord. (t,z). Dello spazio si considera una sola dimensione, che è
quella verticale.
Non ci sono problemi (sicuro?) per la coord. z, che è la distanza in
verticale da un'origine convenzionale.
Ma ce ne sono per t, che F. non spiega come sia definita per un dato
evento.
C'è però una definizione implicita nell'uso che se ne fa: t sarebbe il
tempo segnato da un orologio che sia fermo alla stessa z dell'evento.
Infatti F. basa la sua "dimostrazione che lo spazio-tempo è curvo" sul
fatto che un orologio posto più in alto "va più veloce".
Ma come fa a dire che va più veloce?
Semplice: le verticali per B e per D (eventi separati da 100s)
incontrano l'orizzontale alla quota 100 piedi sopra B nei due eventi A
e C', che sono separati da un tempo > 100s.
Nasce qui un problema: la coord. t del punto C' è 100s, come
indicherebbe il fatto che C' sta aulla verticale (stessa t) di D,
oppure è maggiore, come indicherebbe l'orologio posto alla quota di A,
che segna 0 in A ma segna più di 100 in C'?
Il problema ha origine nell'aver usato le coord. t,z senza definirle.
Come ho già detto, poco male per z, ma per t la lacuna è grave. Dalla
figura si capisce che t vuole essere una coord. indipendente dagli
orologi: ma come si può fare ciò?
Provo a esporre una procedura possibile, nella schematizazione qui
adottata:
- spazio-tempo statico
- una sola dimensione spaziale
- campo gravitazionale uniforme (sarà necessario?).
A ogni quota z si dispone di un orologio. Si assume come master
quello, detto O_0, posto a una certa quota z0 (questo non sarebbe
necessario, ma semplifica l'esposizione).
Ci si assicura della marcia di tutti gli orologi, mandando da O_0
segnali a intervalli regolari Dt0.
Con orologi reali i tempi segnati alla ricezione di un dato orologio
O_i non saranno equidistanti; si procederà alle opportune medie e si
terrà conto degli scarti come indicazione della qualità dei vari
orologi.
Da qui in poi assumo che gli intervalli di ricezione per un dato
orologio siano tutti uguali a un certo Dt_i.
Si può correggere la marcia di O_i finché si ha Dt_i = Dt_0; oppure si
può prender nota del fattore di correzione k_i = Dt_i/Dt_0.
La soluzione più pratica è la seconda, ma è più semplice assumere che
sia regolata la marcia dei vari orologi in modo che per tutti sia
Dt_i = Dt_0.
Fatto questo, gli orologi hanno la stessa marcia; si noti che così
facendo non solo sono state corrette le eventuali differenze
strumentali dei diversi orologi, ma è stato anche riassorbito il
redshift.
Resta solo da regolare lo zero di ciascun orologio.
Questo si fa con una sincronizzazione standard: O_0 manda un segnale
al tempo t_1, che viene ricevuto da O_i al tempo t_2 e subito rinviato
indietro. Sia t_3 al quale O_0 lo riceve: la correzione di zero da
apportare ad O_i è
(t_1 + t_3 - 2*t_2)/2.
La procedura descritta non assume che la velocità della luce tra O_0 e
O_i sia costante lungo il percorso e uguale a c; assume però che i
tempi di andata e ritorno siano fissi e uguali tra loro.
Per capire se ciò sia vero, dobbiamo scrivere la metrica, che sarà del
tipo
ds^2 = A(u,v) du^2 + 2 B(u,v) du dv + C(u,v) dv^2
ma con qualche semplificazione.
In primo luogo assumiamo (già detto) che lo spazio-tempo sia statico.
Ciò significa che esistono coord. (u,v) nelle quali B=0 mentre A, C
dipendono solo dalla coord. spaziale v, non da u. Quindi
ds^2 = A^2(v) du^2 - C^2(v) dv^2.
(i quadrati e il segno meno servono a rendere espliciti i segni).
Di più: si può anche, con un cambiamento di variabile, avere C=1.
Poniamo infatti
dv' = C(v) dv;
v' si esprime in funzione di v integrando. Anche A cambierà:
A'(v') = A(v)
quindi
ds^2 = A'^2(v') du^2 - (dv')^2.
Lascio cadere gli apici e ottengo
ds^2 = A^2(v) du^2 - dv^2. (1)
Resta solo da determinare la funzione A(v). Ci riusciamo tenendo
presente che già conosciamo il redshift: se lanciamo dalla quota v=0
due impulsi luminosi verso l'orologio a una certa quota v, sappiamo
che il tempo proprio dell'orologio in v differirà da quello in 0:
dtau(v) = (1 + g*v/c^2) dtau(0).
È facile calcolare dtau(0) e dtau(v) dalla (1). Per gli orologi, che
hanno v costante, la (1) fornisce
c dtau(0) = A(0) du
c dtau(v) = A(v) du
quindi
A(v) = 1 + g*v/c^2 (2)
(ho messo A(0)=1, il che è lecito).
A dire il vero abbiamo saltato un pezzo del ragionamento.
Per arrivare alla (2) abbiamo assunto che du sia lo stesso alla
partenza e all'arrivo dei due segnali. Il che è vero, perché la
metrica è statica.
Anche senza conoscere A(v) possiamo calcolare l'eq. delle curva
(geodetica di tipo luce) di ciascun segnale: basta porre ds^2 = 0 per
avere
dv = A(v) du
du/dv = 1/A(v)
e se H(v) è una primitiva di 1/A(v):
u(v) = H(v) + k
dove la costante d'integrazione si determina con le condizioni
iniziali.
Siano (u1,0), (u2,v) le coord. degli eventi partenza e arrivo del
primo segnale. Alla partenza avremo k = u1 e all'arrivo
u2 = u(v) = H(v) + u1.
Ragionando sul secondo segnale, con le coord. (u3,0) alla partenza,
(u4,v) all'arrivo, troviamo invece k = u3 e
u4 = u(v) = H(v) + u3.
Dunque u4-u2 (intervallo all'arrivo) è uguale a u3-u1 (intervallo
alla partenza) proprio come avevamo supposto.
Questo succede sempre quando la geometria è statica.
Ponendo la (2) nella (1) abbiamo la metrica del nostro spazio-tempo:
ds^2 = (1 + g*v/c^2) du^2 - dv^2.
Resterebbe da dimostrare che il tempo di andata è uguale a quello di
ritorno.
Lo lascio per esercizio :-)
Un'osservazione sulle notazioni. Perché ho usato u,v invece di t,z?
La ragione è che sto per usare il PE, impiegando la stessa metrica
- per l'astronave ferma al suolo con la gravità g
- per l'astronave nello spazio lontano, coi motori che danno accel. g.
Ho quindi preferito usare cord. "neutre" come u,v in luogo di t,z, più
connotate.
Ora abbiamo davvero tutto l'armamentario che ci occorre per capire che
cosa avrebbe dovuto fare Feynman...
Alla prossima puntata.
--
Elio Fabri
Received on Tue Aug 01 2023 - 11:30:13 CEST