Pier Franco Nali ha scritto:
> Mah, mi rimane sempre il dubbio
> ...
Non intervengo per dire la mia nella discussione. Anche se volessi, non
posso, perché non riesco a capire niente di quello che leggo.
Sembra che sia proprio una questione di linguaggio...
Pongo la mia consueta premessa: assumo ci sia qualcun altro che legge
questi post e forse ha le mie stesse difficoltà. È a questo qualcuno
che mi rivolgo.
Per come io conosco la relatività, quando si parla di tempo proprio
non c'è posto né bisogno di riferimenti e osservatori.
Lo spazio-tempo è dotato di una *metrica*, e questa permette di
definire e calcolare la *lunghezza* di qualsiasi arco di curva.
(Per essere precisi, il tempo proprio si applica solo a curve di tipo
tempo.)
Se si fissa un sistema di coordinate, un arco di curva è definito
dalle sue equazioni parametriche, che si possono dare in innumerevoli
forme, ma sono sempre basate sulla previa adozione di un *sistema di
coordinate* (SC) (che non è un sistema di riferimento!).
Per come è definito, il tempo proprio è *invariante*, ossia risulta lo
stesso, *tra due punti di una data curva*, quali che siano le
coordinate che si adottano per definire la curva.
Quindi se sento parlare di *due* tempi propri, secondo me vuol dire
che si stanno considerando *due diverse curve*, magari pure con gli
stessi estremi, o anche no.
Questo avrebbe dovuto essere chiarito e io non lo trovo.
Osservazione: l'asserita invarianza del tempo proprio vale se si
assume che lo si possa calcolare dalla metrica.
In termini fisici, il tempo proprio è segnato da un orologio ideale
di cui la curva che ho ripetutamente citata sia la *curva oraria*. Si
deve assumere che ciò che segna l'orologio dipenda dalla sua velocità,
ma non da altro; in particolare non dall'accelerazione.
Questo prende il nome di "clock hypothesis" o anche "clock postulate".
--
Elio Fabri
Received on Fri Jan 26 2024 - 14:48:12 CET