Re: Formula per la luminosità apparente degli oggetti celesti ad alto redshift
ULTERIORI CONSIDERAZIONI SULLA FORMULA PER LA LUMINOSITA’ APPARENTE
DEGLI OGGETTI CELESTI AD ALTO REDSHIFT
Come ho scritto nel post precedente, la formula attualmente utilizzata
dalla comunità scientifica, dovrebbe essere la seguente:
l = L / (4 x 3,14 x D*2) x (1 + z)*2 (1)
dove:
“l” sta per luminosità apparente;
“L” sta per luminosità assoluta;
“D” sta per distanza propria o attuale o comovente;
“z” sta per il redshift cosmologico.
Mentre la formula da me proposta che, come credo di aver dimostrato,
dovrebbe essere più adeguata al modello di Universo considerato dalla
comunità scientifica, è la seguente:
l = L / (4 x 3,14 x T*2) x (1 + z)*3 (2)
dove "T" corrisponde alla distanza effettiva percorsa dai fotoni (tempo
del viaggio dei fotoni x c), depurata dalla distanza dovuta
all'espansione dello spazio, e (1 + z)*3 all'espansione dello spazio
avvenuta durante il viaggio dei fotoni.
Ora vorrei aprire una parentesi facendo delle considerazioni sulla
differenza di risultati tra le due formule.
Premetto che la distanza propria (D) corrisponde alla distanza
all'emissione (d) moltiplicata per il fattore relativo all'espansione
dell'Universo, e cioè (1 + z).
Quindi D = d x (1 + z) .
Allora se nella formula (1) spostiamo un fattore (1 + z) dal gruppo di
fattori a sinistra a quello di destra, essa diventa:
l = L / (4 x 3,14 x D*2) x (1 + z)*2 (1) =
= L / (4 x 3,14 x (d x (1 + z))*2) x (1 + z)*2 =
= L / (4 x 3,14 x d*2) x (1 + z)*3 (3)
La differenza tra la formula (3) e la (2) è che nella (3) si considera
la distanza all'emissione e nella (2) la distanza percorsa
effettivamente dai fotoni che, naturalmente, è più elevata di quella
esistente all'emissione.
Il che giustifica la differenza dei risultati tra la formula (1) e la (2).
Parentesi chiusa.
Comunque i valori della luminosità apparente osservata, sono inferiori
sia a quelli risultanti dalla formula (1) che a quelli risultanti dalla
formula (2), anche se la differenza è maggiore rispetto alla formula (1).
Per giustificare questa divergenza tra i valori delle luminosità
apparenti osservate e quelle risultanti dall'applicazione della formula
(1), la comunità scientifica afferma che l'espansione dello spazio è in
accelerazione.
Il che significherebbe che la distanza propria (ciè quella esistente
all'arrivo dei fotoni) sarebbe superiore a quella considerata nella
formula, e cioè alla distanza all'emissione moltiplicata per il fattore
di espansione e cioè per (1 + z).
Ma questo non riesco a spiegarmelo, perché se la distanza all'arrivo dei
fotoni fosse superiore di quella considerata, significherebbe
naturalmente che l'espansione dello spazio sarebbe stata maggiore
(appunto perché in accelerazione) di quella considerata.
Ma in questo caso anche il redshift dei fotoni dovrebbe essere stato
maggiore di quello considerato, perché la maggiore espansione dello
spazio si sarebbe dovuta riflettere anche sulla lunghezza d'onda dei fotoni.
Allora io mi domando:
Poiché l'espansione accelerata dello spazio, si dovrebbe riflettere
anche sul redshift, com'è possibile che la distanza propria possa essere
maggiore di quella risultante moltiplicando la distanza all'emissione
per il redshift osservato?
Sembrerebbe come se una parte dell'espansione dello spazio, avvenuta
durante il viaggio dei fotoni, si fosse riflessa sulla distanza propria
e non sulla lunghezza d'onda dei fotoni, e cioè sul loro redshift.
Ma come si spiegherebbe?
In conclusione non riesco proprio a spiegarmi queste, a mio parere,
incongruenze.
C'è qualcuno che saprebbe dirmi dove sbaglio?
Dino Bruniera
Received on Tue Dec 05 2017 - 16:36:24 CET
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