Formula per la luminosità apparente degli oggetti celesti ad alto redshift
CONSIDERAZIONI SULLA FORMULA PER LA LUMINOSITA’ APPARENTE DEGLI OGGETTI
CELESTI AD ALTO REDSHIFT
Per verificare che il modello di Universo sostenuto dalla comunità
scientifica, sia corretto, tra l’altro, sarebbe necessario verificare
che i risultati ottenibili applicando la conseguente formula per la
luminosità apparente degli oggetti celesti ad alto redshift, siano
compatibili con le osservazioni.
Però, naturalmente, la formula dovrebbe essere veramente compatibile con
il suo modello si Universo, mentre, in base alle mie conoscenze, avrei
delle osservazioni da fare su detta compatibilità.
La formula attualmente utilizzata dalla comunità scientifica,
semplificata, dovrebbe essere la seguente:
l = L / (4 x 3,14 x D*2) x (1 + z)*2
dove:
“l” sta per luminosità apparente;
“L” sta per luminosità assoluta;
“D” sta per distanza propria o attuale o comovente;
“z” sta per il redshift cosmologico.
Ho scritto “dovrebbe” perché in rete ho trovato più formule per il
calcolo della luminosità apparente, ma che utilizzano relativamente
complessi sistemi di coordinate comoventi, soprattutto per quanto
riguarda la distanza.
Per cui, per semplicità, ho utilizzato una formula che ho trovato in una
pagina web di un astronomo, che non utilizza le coordinate comoventi, ma
che dovrebbe avere lo stesso significato e, naturalmente, dare gli
stessi risultati.
In pratica si tratta di dividere la luminosità assoluta per il prodotto
di due fattori:
- il primo riguarda il viaggio dei fotoni dall’emittente all’osservatore;
- il secondo riguarda gli effetti dovuti all’espansione dello spazio che
avviene durante il viaggio.
Considerazioni su detti fattori.
In merito al fattore relativo al viaggio dei fotoni, almeno a mio
parere, al posto della distanza propria, e cioè alla distanza esistente
al loro arrivo, distanza che dipende anche dall’espansione dello spazio,
si dovrebbe utilizzare il tempo del viaggio, che corrisponde alla
distanza percorsa effettivamente dai fotoni e, quindi, senza tener conto
della distanza dovuta alla espansione dello spazio.
Perché non si dovrebbe tener conto dell’effetto “tapis roulant” dovuto
all’espansione dello spazio, in quanto esso non produce la dispersione
dei fotoni sulla superficie dell’ipotetica sfera avente come centro
l’oggetto emittente e che si incrementa man mano che aumenta la distanza
percorsa.
In merito al fattore relativo all’espansione dello spazio, in base alle
informazioni che ho trovato in rete, viene utilizzato due volte (al
quadrato) per i motivi che seguono.
Un fattore (1+z) e' necessario per tenere conto del fatto che ogni
fotone perde energia a causa del redshift proporzionalmente a R(t0)/R(t);
Un secondo fattore e' dovuto al fatto che anche il ritmo di arrivo dei
fotoni e' inferiore al ritmo di emissione ancora per lo stesso fattore
R(t0)/R(t).
Che sono tutti due fattori dovuti all’espansione longitudinale dello
spazio, quindi, almeno a mio parere, sarebbe stato corretto utilizzarne
solo uno per tutti e due gli effetti sopra citati.
Invece, sempre a mio parere, dato che l’espansione dello spazio avviene
in tre dimensioni e, quindi, oltre che longitudinalmente, anche in
larghezza ed in altezza, il fattore (1 + z) andrebbe utilizzato 3 volte
e, quindi, elevato al cubo.
Quindi la formula corretta dovrebbe essere:
l = L / (4 x 3,14 x T*2) x (1 + z)*3
Dove “T” sta per tempo impiegato per il viaggio, che corrisponde alla
lunghezza percorsa effettivamente dai fotoni (quindi senza l’effetto
“tapis roulant”) e gli altri termini sono gli stessi utilizzati nella
formula sopra citata.
Ho anche provato ad applicare le due formule in un caso che potrebbe
essere realistico e, in base a dei dati che ho trovato in rete, i
risultati non sono molto diversi. Perché a fronte di un fattore (1 + z)
in più nella seconda formula, c’è il valore di “T” che è inferiore al
valore di “D” utilizzato nella prima formula.
Vorrei sapere cosa ne pensate di queste considerazioni.
Dov'è che sbaglio?
Dino Bruniera
Received on Wed Nov 29 2017 - 15:00:38 CET
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