Re: orologi che "rallentano"

From: Elio Fabri <elio.fabri_at_fastwebnet.it>
Date: Sun, 25 Mar 2018 16:19:35 +0200

Paoo Russo ha scritto:
> Sono pienamente d'accordo con te che se non si specifica un
> riferimento non si può dire, istante per istante, quale orologio stia
> rallentando rispetto all'altro; lo si potrà dire solo con un
> confronto tra due percorsi spaziotemporali diversi che condividano gli
> stessi due eventi come estremi, o con una sequenza di operazioni
> funzionalmente equivalente (ripensandoci, forse era questa la
> conclusione a cui Elio voleva farmi arrivare; mi e` venuto in mente
> solo dopo).
Non necessariamente, ma era una possibile risposta.
Ma per me il punto essenziale è che non ha *mai* senso parlare di
rallentamento di un orologio.
V. appresso.

> E questo e` UN concetto di rallentamento, assoluto, indipendente dal
> sistema di riferimento.
Che sia indip. dal rif. è vero, ma non so perché vuoi chiamarlo
rallentamento.
Hai *due* orologi, che come hai spiegato hanno in comune partenza e
arrivo (eventi).
In quanto orologi, entrambi portano un indicatore del *tempo proprio*.
Osservi che gli intervalli di tempo proprio sono in generale diversi
per i due orologi.
Questo è il dato di fatto.
Tirare in ballo il verbo "rallentare" è arbitrario: è
un'interpretazione che ha più controindicazioni che vantaggi.

> Esiste anche un ALTRO concetto di rallentamento, relativo al sistema
> di riferimento. Capisco che, essendo relativo, a tanti non piaccia
> usarlo,
Non è il mio caso, ma tu stai rispondendo a Bruno :-)

> Intendiamoci, anche il rallentamento relativo si puo` misurare in
> ultima analisi solo con un confronto tra percorsi con estremi
> coincidenti (o procedura equivalente), se si tiene conto della parte
> percorsa dalla procedura di sincronizzazione, solo che in questo caso
> la scelta dei percorsi, che influenza il risultato finale, dipende
> appunto dal sistema di riferimento adottato.
D'accordo.
Mi pare di aver rimandato in altr post al caso dei muoni dai raggi
cosmici, e al modo come lo tratto nel Q16.
Lì non parlo di sincronizzazione, ma c'è, in modo implicito: uso un
orologio a metà strada per sincronizzare i due orologi in alto e in
basso.
Quello in alto segna l'istante in cui il muone passa sulla cima del
monte; quello in basso misura l'istante in cui il muone arriva.
Il rif. adottato è chiaramente quello solidale al suolo.

Per le ragioni che sai, io non ho niente contro la sincron. standard.
Per la presente discussione conta però che il confronto lo fai tra *un*
orologio (il muone) che si muove in quel rif. e *due* orologi fermi
(sincronizzati).
E' questa la dissimmetria essenziale.

> ...
> e dire "NON ESISTE un rallentamento dipendente dal sistema di
> riferimento, non ha proprio senso parlarne".
In realtà io dico che trovo improprio attribuire a un orologio
qualcosa che cambia da un rif. al'altro.

Se dico che l'orologio rallenta, chiunque intenderà che succede
qualcosa *proprio a lui*, all'orologio, che lo fa andare più lento.
Poi dico: "però attenzione, perché il rallentamento dipende dal rif."
Ma allora non è cosa dell'orologio...
Chiunque a questo punto preferirebbe sentir dire "l'orologio *appare*
rallentare, in un modo che dipende dal rif. dal quale lo si osserva".
E io non voglio che nel discorso fisico entrino verbi come "appare".

Tralascio una quantità di punti del tuo lunghissimo post.
Cerco di concentrarmi su poche cose...

> Detto in parole povere: avete qualche plausibile motivo fisico per
> assumere che se H&K avessero viaggiato in linea retta anziche' girare
> in cerchio il rallentamento non ci sarebbe stato?
In realtà è la discussione che gira in cerchio :-)

> Pensate che la dinamica covariante responsabile istante per istante
> del rallentamento avrebbe appeso il cartello "torno subito, appena la
> curva si chiude" e sarebbe andata un attimo a pescare in attesa di un
> futuro ritorno degli aerei?
Ho l'impressione che si sia già parlato di questo tuo ricorso alla
dinamica covariante, quindi forse mi ripeto.
Finché puoi dimostrare che il funzionamento del'orologio dipende
*esclusivametne* da interazioni e.m., l'argomento pare funzionare.
Ma succede mai questo?
E comunque, come fai a saperlo a priori?
Solo perché in realtà inverti l'onere della prova: prendi come
postulato che *qualsiasi* dinamica debba essere relativistica.
Quindi il "rallentamento", in quanto in realtà effetto solo della
geometria dello spazio-tempo, viene prima della tua dinamica.
Col tuo approccio (non solo tuo) questo viene messo in ombra.
E io lo trovo un forte difetto.

> Non scherzo: le affermazioni "un orologio in moto rallenta" e "una
> carica elettrica in moto genera un campo magnetico" sono perfettamente
> analoghe in RR: hanno lo stesso ambito (relativo) di validita`. Chi
> critica la prima critica implicitamente anche la seconda, che se ne
> renda conto o meno; tuttavia, ho la sensazione che la seconda riceva
> molte meno critiche *esplicite* della prima. E per inciso, come ho
> tentato di mostrare, nei casi piu' comuni e` proprio la seconda (in
> buona sostanza) la causa fisica della prima.
In effetti debbo essere tra quelli che non se ne rendono conto :-)

Provo a spiegarmi.
In primo luogo, come ho detto sopra, se parlo di "rallentamento"
intendo (e anche tu, mi pare) qualcosa che succede *all'orologio*.
Se dico "qui c'è un campo magnetico" sto facendo un'affermazione che è
verificabile a prescindere dalla sorgente del campo.
Il campo è osservabile *di per sé*.

Secondo. Non so se è questo che vorresti, ma provo a fare affermazioni
indip. dal rif.
Abbiamo una carica q, che si muove di moto uniforme (questa è
un'afferm. indip. dal rif.: solo la velocità cambia da un rif.
all'altro). Sia s la sua linea oraria (una retta) e u la sua
4-velocità (vettore dello spazio-tempo: solo le sue compomenti
cambiano da un rif. all'altro).
Sia P un punto dello sp.-tempo (evento).

Prendiamo un punto Q su s, poniamo per def. r = P-Q (un 4-vettore) e
poniamo poi per brevità w = u∧r (prodotto esterno: w è un /bivettore/,
ossia un tensore antisimmetrico di rango (2,0).
Allora il tensore e.m. in P è (a meno di fattori numerici)

F = q w/|w|^3

dove |w|^2 è definito come w.w.
In componenti:
|w|^2 = w^[\mu\nu} w_{\mu\nu}.

Nota 1: i fattori numerici li lascio indeterminati perché sono un casino,
e in parte dipendono dalle convenzioni.
Nota 2: la scelta di Q su s è libera, perché u∧u = 0.

Esempio. (Uso la metrica g_{00}=1, g_{11} = -1 ecc.)
Se assumiamo un rif. in cui la carica è ferma, abbiamo u=(1,0,0,0).
Scelgo l'origine su s, e prendo Q=(0,0,0,0).
Sia P=(t,x,y,z): allora il bivettore u∧r ha le componenti:
w^{01} = x, w^{02} = y, w^{03} = z
w^{10} = -x, w^{20} = -y, w^{30} = -z
(tutte le altre sono nulle).

|w|^2 = -2(x^2 + y^2 + z^2)

(ecco che ci sono fattori da sistemare!).
Essendo F^{01} = E_x ecc. (o forse col segno opposto?) troviamo la
legge di Coulomb.
Le componenti F^{12} ecc. sono nulle: non c'è campo magnetico.

In un diverso rif. u avrebbe anche componenti spaziali, e si
troverebbero subito le espressioni relativistiche di E e di B di una
carica in moto uniforme.
Che c'è di strano a dire
"se q è ferma, B=0; se si muove, B non è nullo"?
D'accordo, stiamo solo descrivendo proprietà delle compoenti di F in
rif. diversi.
Ma come ho detto sopra, si tratta di cose misurabili.
                                                                     
                  
-- 
Elio
Received on Sun Mar 25 2018 - 16:19:35 CEST

This archive was generated by hypermail 2.3.0 : Fri Nov 08 2024 - 05:09:56 CET