Paolo Brini ha scritto:
> Il personaggio Salviati, nel "Dialogo sopra i due massimi sistemi del
> mondo tolemaico e copernicano" (1632), alla domanda di Simplicio "Ma
> da che argumentate voi che non la Terra, ma il Sole, sia nel centro
> delle conversioni de' pianeti?"
>
> risponde (a meno di errori di battitura di cui eventualmente mi
> scuso):
> ...
> Innanzi tutto la valutazione qualitativa nelle primissime frasi
> citate di Galileo/Salviati mostra un trucco di distorsione della
> teoria rivale: assumere che la teoria tolemaica non preveda variazioni
> di distanza della Terra da Marte e da Venere paragonabili a quelle
> previste dal sistema copernicano.
Aspetta!
Il brano che hai citato (pag. 349-350 dell'Ed. Naz.) non fa
riferimento a Tolomeo, ma ad Aristotele, come risulta in modo
esplicito dalla pagina che precede.
> Tolomeo, invece, nella sua "Sintassi Matematica", nota come
> "Almagesto" nel Medio Evo, allora testo fondamentale per qualsiasi
> studioso di astronomia, fornisce due parametri per ogni pianeta
> (raggio del deferente e raggio degli epicicli), lasciando
> l'attribuzione dei valori numerici corretti ai posteri, in quanto al
> suo tempo (II secolo d.C.) non esistevano strumenti per poterli
> calcolare.
> L'astronomo evita di lanciarsi in speculazioni, lasciando il sistema
> indeterminato a meno di un fattore di proporzionalit� (volendo anche
> diverso per ogni pianeta).
Ecco: il fattore di prop. *deve* essere diverso per ogni pianeta.
V. dopo.
> Tuttavia Tolomeo � in grado di calcolare il rapporto fra i raggi per
> tutti i pianeti e per la Luna. In particolare:
>
> Marte 60.00, 39.50
> Venere 60.00, 43.16
>
> Considerando, con le conoscenze attuali, la distanza media dal Sole
> dei suddetti pianeti (rispettivamente 1.52 UA e 0.72 UA) notiamo
> innanzi tutto per curiosit� l'accuratezza dei calcoli di Tolomeo
> (39.50/60.00=1.52 e 43.16/60.00=0.72 sempre con approssimazione alla
> seconda cifra decimale).
D'accordo.
> (Si tenga conto che questo discorso � valido finch� relativizziamo
> l'Unit� Astronomica; se andiamo a considerarla nel suo valore
> assoluto, Copernico era in errore (di sottostima) di circa un fattore
> 20, cosi come era in errore Tolomeo dello stesso fattore).
Qui invece non sono d'accordo.
Nel caso di Copernico esiste effettivamente un'unico parametro
incognito: appunto l'Unita' Astronomica.
Nel caso di Tolomeo, c'e' un parametro libero per ogni pianeta.
L'unico vincolo per Tolomeo sta nel fatto che i cerchi dei diversi
pianeti nonsi debbono intersecare. Quindi per es. la distanza minima
di Marte dalla Terra non puo' essere inferionre alla distanza massima
del Sole dalla Terra medesima.
> Questo, ovviamente, � dovuto al fatto che il sistema copernicano �
> compatibile con il sistema tolemaico quando si fissino uguali a 1 i
> raggi degli epicicli dei pianeti esterni, e uguali a 1 i raggi dei
> deferenti dei pianeti interni;
> ...
> il sistema copernicano, magari a sorpresa per noi ma non certo per
> Copernico o per Galileo, risulta un caso particolare di quello
> tolemaico.
Io non lo chiamerei ne' "compatibile" ne' "caso particolare", in
quanto ci sono delle differenze evidenti.
Per Tolomeo il fatto che i periodi degli epicicli deipianeti esterni e
quelli dei deferenti dei pianeti interni siano tutti pari a un anno
non ha alcuna spiegazione.
Cosi' pure non si spiega perche' la minima distanza di un pianeta
esterno dalla Terra debba coincidere con l'opposizione al Sole.
Per Copernico entrambi questi fatti sono conseguenza naturale del
modello.
> Galileo si trova quindi di fronte, e ne � perfettamente consapevole,
> alla difficile situazione per la quale la falsificazione del sistema
> tolemaico implica la falsificazione di quello copernicano;
> ...
Infatti la critica al sistema tolemaico Galileo la fa in altro modo,
che ne' tu ne' F. (credo) ricordate.
Simplicio obietta:
SIMP. Questi accidenti son tanto grandi e cospicui, che non e'
possibile che Tolomeo e gli altri suoi seguaci non ne abbiano avuto
cognizione; ed avendol auta, e' pur necessario che abbiano ancor
trovata maniera di render di tali e cosi' sensate apparenze
sufficiente ragione, ed anco assai congrua e verisimile, poiche' per
si' lungo tempo � stata ricevuta da tanti e tanti.
E Salviati replica:
SALV. Voi molto ben discorrete; ma sappiate che il principale scopo de
i puri astronomi e' il render solamente ragione delle apparenze ne i
corpi celesti, ed ad esse ed a i movimenti delle stelle adattar tali
strutture e composizioni di cerchi, che i moti secondo quelle
calcolati rispondano alle medesime apparenze, poco curandosi di
ammetter qualche esorbitanza che in fatto, per altri rispetti, avesse
del difficile: e l'istesso Copernico scrive, aver egli ne' primi suoi
studii restaurata la scienza astronomica sopra le medesime
supposizioni di Tolomeo, e in maniera ricorretti i movimenti de i
pianeti, che molto aggiustatamente rispondevano i computi
all'apparenze e l'apparenze a i calcoli, tuttavia pero' che si
prendeva separatamente pianeta per pianeta; ma soggiugne che nel voler
poi comporre insieme tutta la struttura delle fabbriche particolari,
ne risultava un mostro ed una chimera composta di membra tra di loro
sproporzionatissime e del tutto incompatibili, si' che, quantunque si
sodisfacesse alla parte dell'astronomo puro calcolatore, non pero' ci
era la sodisfazione e quiete dell'astronomo filosofo. E perche' egli
molto ben intendeva, che se con assunti falsi in natura si potevan
salvar le apparenze celesti, molto meglio cio' si sarebbe potuto
ottenere dalle vere supposizioni, si messe a ricercar diligentemente
se alcuno tra gli antichi uomini segnalati avesse attribuita al mondo
altra struttura che la comunemente ricevuta di Tolomeo; e trovando che
alcuni Pitagorici avevano in particolare attribuito alla Terra la
conversion diurna, ed altri il movimento annuo ancora, comincio' a
rincontrar con queste due nuove supposizioni le apparenze e le
particolarita' de i moti de i pianeti, le quali tutte cose egli aveva
prontamente alle mani, e vedendo il tutto con mirabil facilita'
corrisponder con le sue parti, abbraccio' questa nuova costituzione ed
in essa si quieto'.
(pag. 368-9 E.N.)
Dovresti leggere anche il seguito, ma ho gia' citato fin troppo...
> ...
> Orbene, considerando di osservare Marte (raggio reale circa 3370 km)
> nella situazione pi� favorevole possibile, cioe' al minimo delle
> distanze minime dalla Terra negli ultimi secoli (5.5*10^7 km circa),
> esso appare (a occhio nudo) sotto un angolo di 24" di arco, che
> diventano 8' di arco con un cannocchiale da 20 ingrandimenti
> idealmente privo di qualsivoglia difetto.
Non ho controllato i conti, e spero che siano giusti.
Ma non ho capito che cosa ne concludi.
Il rapporto delle distanze di Marte, fra massima e minima, e' circa
5:1. Quindi alla distanza massima i tuoi 8' diventano meno di 2'.
Perche' non avrebbe dovuto vederli e anche misurarli?
Ti ricordo che da qualche parte (forse nel "Sidereus Nuncius"?) G.
gia'indica un modo per ridurre di molto i difetti delle lenti: quello
di diaframmare.
Per un oggetto luminoso come Marte poteva farne uso senza problemi.
Scusa se ho tardato e se non ho risposto proprio a tutti i punti, ma
potrei farlo solo se decidessi di non occuparmi d'altro...
--
Elio Fabri
Received on Sat Apr 07 2007 - 21:12:36 CEST