[Multivac85:]
>> Quel che intendevo dire e` che la chimica (per esempio) rispetta la
>> termodinamica, ma dalla sola termodinamica non deduci la chimica.
>> Se ti interessa la vita in generale, quella e` chimica, perloppiu'
>> organica. Forse potresti leggere "Il caso e la necessita`" di Monod.
>>
>
> Tombola! Affermare che dalla sola fisica termodinamica non si deduce
> la chimica spesso viene portato come conferma dai famigerati "olisti"
> o "emergentisti" dell'impossibilità di ridurre (non importa nella
> pratica o a livello di principio) non solo i fenomeni chimici a quelli
> fisici ma quelli biologici a quelli fisici.
Se fanno una cosa del genere non hanno capito molto: la
chimica e` riducibile (in linea di principio) alla meccanica
quantistica, non alla termodinamica.
> In quanto a Monod, ho appena letto un'interessante testo che mostra
> quanto il pensiero di Monod bisognerebbe rivederlo alla luce della
> genetica odierna
> http://www.tecalibri.info/B/BONIOLO-G_filosofia.htm#p004 in effetti
> bisognerebbe fare un lungo discorso sulla probabilita' in biologia (in
> effetti spesso mi chiedo se per il classico discorso delle scimmie
> dattilografe non si possa dire che una probabilita', per quanto
> piccola, entro un certo lasso di tempo diventi una certezza).
Letto il link. Francamente quella critica mi sembra in parte
fondata, in parte scorretta e in parte eccessiva. Sono
d'accordo che il termine "necessita`" usato da Monod in quel
contesto non vada preso completamente alla lettera, perche'
la selezione naturale e` la somma di una miriade di eventi
singolarmente casuali, tuttavia l'effetto complessivo e` un
bel po' meno casuale e se Monod lo chiama necessita` per
contrapposizione al puro caso non mi scandalizzo piu' di
tanto.
Quel che Monod illustra nel libro e` che le proteine e il DNA
sono mattoni praticamente universali con cui si potrebbe
costruire praticamente qualsiasi meccanismo. Per esempio,
supponiamo che una cellula abbia bisogno che, in presenza di
una certa quantita` di una data sostanza, si attivi la
produzione di un'altra sostanza che non ha nessuna attinenza
chimica diretta con la prima: c'e` sempre un modo per
costruire un meccanismo del genere a colpi di DNA. Poi Monod
illustra per sommi capi come questi meccanismi possono
evolvere per mutazione e selezione naturale; la trattazione
sara` anche un po' troppo semplice ma il messaggio di base e`
corretto.
> Sulle reti neurali ci sono varie informazioni sulla rete, anche se
> secondo me ho l'impressione che il paragone tra mente umana e sistema
> informatico sia alquanto discutibile, il ritenere che il pensiero
> umano includa solo processi algoritmici mi sembra una visione che non
> collima con il fatto che processi a un umano semplicissime come
> riconosce parole scritte a mano in corsivo, mentre un software non ci
> riesca (vedi i famosi test anti-spam) fa notare la differenza fra i
> due tipi di processi...
Bisogna distinguere tra due livelli di processi. Le reti
neurali sono implementabili con un algoritmo, ma la
funzionalita` che esprimono non e` per niente algoritmica:
proprio in cio` consiste l'utilita` delle reti neurali
artificiali.
Le due grosse differenze tra il cervello umano e le reti
neurali artificiali sono altre:
1) il cervello ha MOLTI piu' neuroni (uno sproposito), con
MOLTI piu' collegamenti per neurone; il numero totale di
sinapsi e` di parecchi ordini di grandezza superiore a quello
di qualsiasi rete neurale artificiale mai realizzata. Il
progressivo aumento del volume cerebrale nell'evoluzione
umana, nonostante l'alto consumo energetico dei neuroni in un
organismo sostanzialmente strutturato per economizzare al
massimo, porta a sospettare che sia molto difficile
realizzare un buon grado di intelligenza con reti neurali
molto piu' piccole della nostra.
2) La topologia della rete neurale del cervello non e` nota
(si comincia appena a sapere qualcosa dell'architettura di
certe zone deputate a funzioni relativamente semplici come
l'area visiva), ma e` ragionevolmente certo che sia
immensamente piu' complicata di qualunque rete neurale
artificiale mai realizzata. Nel mondo delle reti neurali
circola il mito che le reti neurali si auto-organizzino, per
cui dovrebbe solo bastare metter su un numero di neuroni
adeguato con una topologia banalissima (tipicamente diversi
strati con propagazione dei segnali solo in avanti da uno
strato all'altro), tarare le sinapsi tramite una back
propagation forzata dall'esterno et voila` la rete si
ottimizza per fare il lavoro voluto. Non e` sbagliato e
consente di ottenere rapidamente piccole reti specializzate
per scopi semplici, ma alla fine e` semplicistico: il mio
intuito di programmatore mi suggerisce che non ci sia alcuna
speranza di realizzare funzioni complesse come quelle
cognitive umane in quel modo. Sono convinto che il cervello
abbia una topologia di rete piuttosto complessa, codificata
in buona parte nel DNA. Del resto, se l'intelligenza fosse
solo una questione di numero di neuroni, gli elefanti
sarebbero molto piu' intelligenti di noi.
Purtroppo ho la netta impressione che il mito
dell'auto-organizzazione universale, sostenuto da tutte le
semplici applicazioni pratiche che ha prodotto, scoraggi non
poco la ricerca di base sulle topologie complesse.
Ad ogni modo posso dirti che ad un programmatore risulta
piuttosto ovvio che una rete neurale sufficientemente
complessa possa essere, in generale, Turing-equivalent (cioe`
capace di fare tutto cio` che puo` fare una macchina di
Turing, una specie di computer astratto); al tempo stesso,
non vedo alcuna prova che l'intelligenza umana sia al di
sopra della capacita` di una macchina di Turing. Il fatto poi
che dentro un cranio umano ci sia effettivamente una rete
neurale e che danni a tale rete provochino malfunzionamenti
mentali, talvolta parzialmente auto-riparanti nel tempo (un
tempo perfettamente compatibile con una parziale
riorganizzazione funzionale di una rete neurale) mi pare che
lasci poco spazio a dubbi sulla base fisica del pensiero.
Certo, uno puo` sempre chiedersi se la mente umana sia o no
entro il "limite" computazionale di Turing, ma credo che
l'ambito in cui inquadrare la questione sia comunque quello
informatico. Una volta appurato che la fisica (quantistica)
e` alla base della chimica, che la chimica e` alla base del
funzionamento dei neuroni e che nel cervello c'e` una rete di
neuroni del genere, la palla passa dalla fisica alla chimica
all'informatica e li' dovrebbe rimanere. Il che pero` ci
porta off topic per isf...
Com'e` stato gia` scritto, ci sono fisici come Penrose che
ritengono che il pensiero richieda strani fenomeni
quantistici che vanno ben al di la` di quanto basta a far
funzionare una rete neurale, tuttavia non mi sembra che
abbiano fornito argomenti minimamente convincenti in tal
senso; almeno, convincenti per un programmatore come me che
sa benissimo quali potenzialita` abbia una "banale" rete
neurale enorme come quella del nostro cervello.
> Il punto però è
> che si possono usare diversi modelli e dunque diverse descrizioni di
> enti per prevedere gli stessi fenomeni. Il fenomeno della gravitazione
> ad esempio si può descrivere e prevedere sia con la legge di Newton
> (che afferma l'esistenza di entità chiamate forze con relative azioni
> a distanza), oppure si può usare un modello alternativo come il metodo
> dei campi locali, con entità dette potenziali il cui valore cambia in
> ogni punto dello spazio, oppure si può usare il modello dei principi
> di minimo, in cui ci sono le entità dette cammini. Insomma, anche se
> riteniamo che le entità fisiche siano quelle descritte nelle formule,
> quali di quale modello tra quelli che descrivono lo stesso fenomeno
> sono quelle che "esistono" davvero?
La risposta a questo dubbio varia in base alla definizione di
esistenza che adotti. Molti direbbero: ora non siamo sicuri
di quali siano le entita` realmente esistenti, ma forse un
giorno lo sapremo, e se quel giorno non verra` mai vorra`
dire che la differenza non fa differenza (osservabile) e
quindi rimarremo in eterno con una curiosita` irrilevante.
Qualcun altro (come Hawking) adotta un approccio opposto,
all'altro estremo, e parla di "esistenza dipendente dal
modello": quando si dice che una cosa esiste o no
bisognerebbe precisare in quale modello. Chiedersi se una
cosa esista o no senza precisare in che modello sarebbe privo
di senso. Quando diciamo "questa sedia esiste" ci riferiamo
quindi implicitamente al modello del mondo che la nostra
mente costruisce automaticamente sulla base dei dati offerti
dai sensi; tuttavia, passando alle entita` piu' sfuggenti
della fisica dovremmo sempre specificare di che modello
stiamo parlando.
Il mio approccio e` una via di mezzo. Per me esistono quelle
entita` presenti nel miglior modello che riesca a spiegare la
fenomenologia, se risulta abbastanza evidente che nessun
modello radicalmente diverso potra` mai sostituirlo (per
esempio, ritengo che gli atomi esistano, anche se sono
oggetti composti; vorrei ben vedere che qualcuno riuscisse a
trovare una spiegazione alternativa di tutta l'evidenza nota
che facesse a meno degli atomi). Se ci sono piu' modelli
sperimentalmente equivalenti, seppur non matematicamente
equivalenti, sospendo il giudizio nell'attesa che qualcuno
riesca a dirimere la questione sperimentalmente; se i due
modelli sono matematicamente equivalenti, ritengo esistente
quel che hanno in comune (diciamo che in un certo senso per
me "esistono" entrambi, o meglio sono due modi di vedere la
stessa cosa).
Per fare un esempio terra terra (forse anche troppo), se
misuro la posizione di un punto nello spazio ottengo tre
coordinate; se cambio sistema di coordinate, ottengo tre
numeri completamente diversi. Tuttavia, i due sistemi di
coordinate sono equivalenti, nel senso che esistono formule
di conversione per passare dall'uno all'altro. Non riterro`
quindi "fisicamente esistenti" le coordinate come numeri, ma
la posizione di quel punto con i suoi tre gradi di liberta`,
anche se all'atto pratico per indicare quella posizione
servono delle coordinate.
>>> posto un brano di "Fisica per poeti" di Robert H.
>>> March:
>>
>> Mi permetterei di consigliarti una fisica un po' meno per poeti e
>> piu' per studenti. :-)
>>
>
> Che ci vuoi fare, per la verità la matematica un po' la sopporto, ma
> fino a un certo punto... Suggeriscimi tu un testo che chiarisce di più
> gli argomenti che trattiamo...
Non saprei proprio. Spero che qualche altro partecipante al
gruppo possa darti indicazioni.
> Questa mi mancava! Sono al corrente che la teoria delle stringhe è
> ancora lungi dall'avere sviluppi che la portino a essere accetta dalla
> comunità scientifica, ma non sapevo che e' solo *da un certo punto di
> vista* che le particelle sono puntiformi...
Pensa ad un elettrone nell'orbitale di minima energia di un
atomo di idrogeno isolato: la posizione dell'elettrone e`
indeterminata. La funzione d'onda non vale zero a nessuna
distanza finita dal nucleo. Da un certo punto di vista si
puo` dire che l'elettrone e` puntiforme, ma da un altro si
puo` dire che si estende in tutto l'universo; da un altro
ancora possiamo dire che occupa una sfera di circa un decimo
di nanometro di diametro (il grosso della funzione d'onda sta
la` dentro). Se tentiamo di localizzarlo non riusciremo mai a
farlo con precisione infinita, riducendone la funzione d'onda
a un punto geometrico; in questo senso un elettrone non e` e
non sara` mai puntiforme.
Se poi quel che ti interessa e` far collidere due particelle,
anche ammesso che la loro posizione sia determinata quanto
basta, pensare ad esse come puntiformi ti aiuterebbe poco:
due punti geometrici non colliderebbero praticamente mai. Due
particelle a una certa distanza cominciano a interagire,
quindi ti sara` piu' utile pensare alle particelle come
dotate di una certa sezione d'urto nei confronti di quel tipo
di interazione che ti interessa...
Il problema e` che il nostro concetto intuitivo di "forma"
implica una superficie che faccia da confine tra il "pieno"
(dove c'e` l'oggetto, idealmente impenetrabile) e il "vuoto"
(dove idealmente non c'e` nulla di quell'oggetto). Le
particelle non si comportano cosi', non c'e` mai ne' il pieno
ne' il vuoto; la faccenda e` molto piu' complicata. Il
concetto di "forma" si applica poco e male; sarebbe piu'
saggio non usarlo nemmeno.
> Magari suggeriscimi tu un testo migliore di quello per comprendere
> meglio questi processi fisici, sperando che la miglior chiarezza non
> implichi necessariamente uso eccessivo di formule e un minor numero di
> parole di spiegazione...
Non saprei proprio. Non so se esista un testo del genere. Non
so nemmeno se possa esistere; temo che per capire davvero la
fisica sia necessario studiarla sul serio. Ho fatto solo in
parte questo sforzo anni fa, leggendo nemmeno interamente un
paio di testi seri (di livello universitario) su meccanica
quantistica e relativita` generale; ora posso dire di sapere
appena qualcosina di quelle materie e di avere una vaga idea
della mole di roba che dovrei studiare per poterle davvero
capire come vorrei. Tu stesso hai scritto che teorie diverse
fanno uso di entita` differenti, portando tuttavia a
risultati molto simili; questo dipende da come sono fatte le
leggi di comportamento di quelle entita` specificate dalle
teorie. Quelle entita`, senza le leggi che ne descrivono il
comportamento, non sono nulla: sono solo nomi vuoti che non
significano e non contano nulla. Per questo e` cosi'
difficile capire la fisica senza le formule. Ho letto
abbastanza interventi critici di fisici in questo gruppo da
sapere che i testi di divulgazione sono quasi tutti fatti
malissimo, nel senso che non spiegano nulla ma istillano idee
sovrasemplificate al punto d'essere sostanzialmente
sbagliate: uno li legge e crede d'aver capito qualcosa, ma
sostanzialmente s'illude.
Un testo che ha raccolto abbastanza consensi e` "QED - La
strana teoria della luce e della materia" di Feynman, che era
un buon insegnante e stava piuttosto attento a non scrivere
cose sbagliate, tuttavia anche quello e` troppo incompleto
sotto vari aspetti: ad esempio non parla mai di funzione
d'onda... uno che ha sentito parlare di funzioni d'onda e
legge QED probabilmente poi non sa piu' cosa pensare.
Ciao
Paolo Russo
Received on Sat Jan 28 2012 - 18:23:32 CET