"Giorgio Pastore" <pastgio_at_univ.trieste.it> wrote in message
news:d54j7b$hc7$1_at_newsfeed.cineca.it...
> In realta' il titolo del thread e' veramente azzeccato. La ragione,
> come notavi tu, e' nella natura "molteplice" del concetto di pressione
> che spesso viene passata sotto silenzio o data per scontata. Col
> risultato che prima o poi lo studente sveglio si trova di fronte a dei
> mini-puzzle concettuali.
Dico la mia su questa questione che a me sembra decisamente intrigante.
Innanzitutto vorrei sottolineare il motivo fondamentale per il quale,
secondo me, lo studente sveglio dovrebbe necessariamente rimanere turbato
dalla questione.
Il misuratore di pressione (quello che tanto tu che io descrivevamo in
precedenti post) e' *di fatto* un misuratore di forza.
Assumendo un punto di vista operativo si deve osservare che la misura di
lunghezza che si effettua e' la misura di un accorciamento di una molla e
gli enti che accorciano le molle sono *per definizione* delle forze.
Assumendo (come in sostanza si fa sempre, almeno in fisica classica) che i
nostri strumenti misurino qualcosa che sta "la' fuori", viene naturale dire
che poiche' la molla si e' accorciata di dx nella direzione alfa allora "la'
fuori" c'e' una forza di intensita' K*dx diretta lungo alfa (da notare che
il nostro misuratore potrebbe essere costruito in maniera tale da poter
ruotare in modo da orientarsi nella direzione della forza, cosi' che la
direzione che assumera' il nostro misuratore, nonche' la sua compressione,
ci daranno modulo direzione e verso dell'ente (la forza) che sta misurando).
Il turbamento sopraggiunge non appena effettuiamo la misura cambiando la
direzione del nostro misuratore. Viene del tutto naturale assumere che
cambiando la direzione del nostro misuratore non cambieremo cio' che sta
"la' fuori", quindi il nostro misuratore, orientato lungo beta=/=alfa
dovrebbe innanzitutto orientarsi lungo alfa e poi contrarsi. Invece il
nostro misuratore non si orienta. Sembra che "la' fuori" qualcuno sia capace
di prevedere la direzione lungo la quale noi decidiamo di mettere il
misuratore per poi spingere esattamente nella direzione scelta da noi.
L'obiezione ""la' fuori" non c'e' una forza, c'e' una pressione che e' un
ente diverso, per questo il misuratore non si orienta" a me pare una
obiezione debole. La' fuori c'e' *per definizione* una forza, perche' c'e'
"qualcosa" che contrae una molla e quel qualcosa per noi che assumiamo un
punto di vista operativo *e'* una forza.
A questo punto si potrebbe dire che la misura di forza sulla superficie S
(la superficie del nostro misuratore) viene descritta dal nostro formalismo
tramite un "operatore su S". In sostanza S e' un vettore tridimensionale
(modulo uguale all'area di S, direzione ortogonale a S, verso "entrante"),
l'operatore e' una matrice 3 per 3. La descrizione di quello che sta "la'
fuori" viene data dall'operatore, cioe' dalla matrice 3 per 3.
E la' fuori c'e' qualcosa che viene "descritto" dalla matrice P=p*I cioe' da
un multiplo della matrice identita' I.
A questo punto potremo anche dire che si puo' "preparare" la misura
posizionando il nostro misuratore in modo tale da rendere il vettore S
uguale a un certo Sin e che a seguito della operazione di misura il nostro
misuratore si orientera' in una direzione Sfin autostato dell'operatore P
relativo ad un dato autovalore L. Il risultato della nostra misura sara'
L*Sfin.
Accade che, avendo P un solo autovalore, p, triplamente degenere, una
qualsiasi Sin sara' sempre autostato di P (relativo ovviamente
all'autovalore p) quindi quale che sia la "preparazione" Sin, il risultato
della misura sara' sempre p*Sin.
Io credo che lo studente sveglio rifiuterebbe fermamente una "spiegazione"
del genere bollandola come una maniera pomposa di nascondere dietro a dei
formalismi il semplice fatto che *non sappiamo* cosa c'e' "la' fuori".
Non crediamo che la' fuori qualcuno "preveda" la direzione lungo la quale
decideremo di orientare il misuratore per poi orientare conseguentemente la
forza, non crediamo di essere noi a modificare il sistema con l'introduzione
del misuratore, crediamo che "la' fuori" ci sia "qualcosa" che dara' luogo
sempre ad una forza diretta nella direzione del nostro misuratore quale che
sia la nostra scelta, ma non sappiamo cosa possa essere questo "qualcosa",
non abbiamo alcun modello per descriverlo, possiamo, a questo livello,
solamente prendere atto dei risultati e descrivere questi in maniera piu' o
meno pomposa. Ma un conto e' descrivere i risultati, altro conto e'
descrivere cio' che c'e' "la' fuori", cioe' altro conto e' costruire un
modello capace di prevedere quei risultati sulla base di assunti su enti che
noi riteniamo effettivamente esistere.
Ben diversa sarebbe la situazione se noi assumessimo che "la' fuori" ci sono
tante particelle (gli "enti che riteniamo effettivamente esistere" e che,
qualora esistessero effettivamente, potrebbero dare luogo anche ad altri
effetti ancora mai osservati ma che potremmo prevedere teoricamente) che si
muovono in direzione casuale urtando fra di loro
avendo una m^2 media (m=quantita' di moto) pari ad un certo valore ...
insomma ben diverso sarebbe ricondurre la termodinamica alla meccanica
statistica, almeno per quanto riguarda la questione in esame, cioe' ben
diverso sarebbe il capire "questa misteriosa grandezza".
Insomma tutto questo discorso per dire che a me pare che accettare, in altro
ambito, quanto affermato dalla interpretazione "ortodossa" della MQ, sia un
po' come accettare la descrizione che sopra chiamavo "pomposa".
Con questo non voglio entrare nel dibattito sui fondamenti della MQ e sulle
ragioni che stanno alla base di questa o quella interpretazione. Voglio
soltanto esporre queste mie considerazioni che mi sembrerebbero un esempio
di scontro fra due approcci totalmente diversi: uno dice "i fatti sono
questi, non possiamo fare altro che descriverli, cerchiamo dei formalismi
atti a cio' e dimentichiamo le nostre remore mentali", l'altro dice "lo vedo
che i fatti sono questi, ma io vorrei proprio cercare di "capire" quei
fatti. I tuoi formalismi saranno anche atti a descrivere, ma non a capire. I
tuoi formalismi sono semplicemente un modo articolato per dire che non
abbiamo ancora capito. E il nostro "vero" scopo e' capire, non descrivere".
> Giorgio
Ciao.
--
Bruno Cocciaro
--- Li portammo sull'orlo del baratro e ordinammo loro di volare.
--- Resistevano. Volate, dicemmo. Continuavano a opporre resistenza.
--- Li spingemmo oltre il bordo. E volarono. (G. Apollinaire)
Received on Tue May 03 2005 - 09:41:39 CEST