Re: Domanda sulla relatività ristretta bis
Il giorno venerdì 14 luglio 2023 alle 08:25:04 UTC+2 Eustachio Manfredi ha scritto:
> Se si vuole comunicare con qualcuno bisogna avere almeno una base di conoscenze in comune e in relazione a questa base di conoscenze si costruisce il messaggio (la descrizione dell'esperimento) che si vuole comunicare.
[...]
> Quindi quando dico "descrivere un fenomeno" intendo dire fornire la procedura operativa per eseguire un esperimento in cui il fenomeno si possa (ri-)osservare. Il linguaggio che uso sarà quello che si riferisce a conoscenze condivise, che includono anche le teorie accettate e condivise (giuste o sbagliate che siano).
Io direi che su questo ci sia una convergenza pressoché unanime.
[...]
> Guarda che non mi riferivo all’orologio rotante, parlavo dei riferimenti inerziali e ribadisco ciò che ho detto: “se vale esattamente il principio di relatività, e quindi tutti i riferimenti inerziali sono equivalenti, è banalmente vero [che agli orologi non succede nulla], perché qualunque orologio è ovviamente immobile rispetto a se stesso”. Non succede nulla tranne che gli orologi in K appaiono rallentare rispetto a quelli immobili in K’ e simmetricamente (conseguenza logica del principio di relatività) quelli di K’ rallentano misurati da K. Ho usato intenzionalmente il verbo “appaiono” perché questo effetto simmetrico è conseguenza della sincronizzazione standard. Un’altra sincronizzazione darebbe risultati diversi e siccome la sincronizzazione standard è convenzionale anche il modo in cui si manifesta il fenomeno è convenzionale.
Oppure, in altri termini, questo presunto "rallentamento", non è una misura ma una pappardella di misure alla quale diamo impropriamente il nome di intervallo di tempo: dX e dTau sono due misure diverse, la prima è lo spostamento in K del corpo fra inizio e fine, la seconda è l'intervallo di tempo misurato dall'orologio in moto col corpo fra inizio e fine, la "pappardella" è Sqrt[dTau^2+(dX/c)^2] che risulta banalmente sempre maggiore o uguale a dTau.
> Questa convenzionalità non c’è nell’esempio di orologio rotante attorno a uno immobile. Infatti l’orologio in movimento va più piano rispetto a quello fisso e quello fisso va più veloce rispetto a quello rotante. Lo puoi misurare in tanti modi il risultato non cambierà. Questo è quello che prevede la relatività (con la clock hypothesis). Poco importa se l’esperimento sia realizzabile o meno: se crediamo nella teoria questo è quello che succede(rebbe) svolgendo l’esperimento.
Appunto, la clock hypothesis, cioè dovremmo esplicitare sotto quali condizioni sperimentali riteniamo di poter considerare trascurabili gli effetti dovuti alle accelerazioni.
L'orologio in rotazione ha la traiettoria di un polinomio regolare a n lati. Mentre va da un vertice al successivo l'orologio segue un moto uniforme e non è rallentato in nessun senso accettabile. Il "salto" da un lato al successivo è "istantaneo" nel senso che un orologio fermo sul vertice n-esimo misura un intervallo di tempo nullo da quando l'orologio in moto era nel punto finale del lato n-esimo a quando arriva al punto iniziale del lato n+1-esimo, inoltre lo stesso orologio in moto, alla fine del "disturbo", cioè dopo essere saltato sul lato n-esimo, segna lo stesso istante che segnava all'inizio del "disturbo" (cioè assumiamo che valga la clock hypothesis).
Concludendo, l'orologio in moto non è rallentato quando fa il suo normale lavoro di orologio, e non fa nulla (non modifica l'istante che sta segnando) in quei brevissimi intervalli di tempo in cui viene disturbato (cioè mentre *non fa* il suo normale lavoro di orologio).
Perché questo orologio si dovrebbe dire rallentato?
Credo che all'origine ci sia l'idea (sbagliata, assunta indebitamente e solo con la relatività prendiamo coscienza di tale assunzione indebita, cioè prendiamo coscienza del fatto che il nostro linguaggio, base comune delle nostre comunicazioni, va modificato perché alcuni enti che ci sembrava scontato che fossero esistenti sono in realtà, almeno allo stato attuale delle nostre conoscenze, solo nostre costruzioni mentali) che il "tempo trascorso" fra due eventi *distanti* sia qualcosa di "esistente", di misurabile. È vero che se esiste un orologio che può assistere ai due eventi senza essere mai "disturbato" il risultato della sua misura è maggiore del "risultato" dato da altri eventuali orologi che assistano ai due eventi essendo però "disturbati" nel frattempo. Ma quelli sono orologi perfetti, non sono "rallentati", sono solo "disturbati". Io preferirei dire che gli orologi "disturbati", proprio a causa del loro essere disturbati, *non stanno* misurando ciò che chiamiamo intervallo di tempo fra due
eventi. Niente di strano. Anche la lunghezza di un tavolo risulterebbe minore (o maggiore) se, mentre effettuo la misura, "disturbassi" lo stumento di misura (accelerandolo). Non direi che il metro si è allungato (o accorciato). Direi che ho effttuato male la misura.
> Va bene, chiedo scusa e riformulo la mia affermazione: Non è vero che tutte le sincronizzazioni vengono sempre definite come *modifiche* delle sincr. di Einstein.
Invece secondo me è vero. Però io non lo direi con le parole usate da Elio. Io direi che sia vero che tutte le sincronizzazioni sono definite in accordo col secondo postulato della RR. Una eventuale procedura che non rispetti il secondo postulato non la chiamerei sincronizzazione. E qualora avessi evidenze sperimentali attestanti la correttezza di una eventuale procedura che non rispetta il secondo postulato, non direi che esiste almeno una procedura di sincronizzazione che non rispetta il secondo postulato. Direi che esistono evidenze sperimentali che minano alla base la relatività.
Bruno Cocciaro.
Received on Fri Jul 14 2023 - 11:37:16 CEST
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