"Omega" <omega_at_NOyahoo.it> ha scritto nel messaggio
news:J2gSu.25850$Th2.18909_at_tornado.fastwebnet.it...
> Loris Dalla Rosa
>> "Omega"
>> Penso di aver ben contestualizzato la citazione proposta da Omega e
>> osservo quanto segue. Sia al punto 1) che al punto 3) H. si premura
>> di sottolineare la difficolta' di trattare quella che chiama
>> "struttura reale" dello spazio e del tempo, in termini che siano
>> accessibili anche a chi non sia un fisico. Direi (parlando per me)
>> che *qui*, in questo dialogo tra addetti e non addetti ai lavori, sta
>> una questione preliminare circa la validita' *logica* di cio' che
>> Heisenberg fa seguire (ma, piu' in generale, la validita' di tutto il
>> saggio divulgativo di H.).
> Qui ti fermo come ho fermato tutti gli altri: ti sembra che un saggio così
> pieno di problematiche irrisolte e neppure spiegate nei termini usati si
> possa definire 'divulgativo'? Ho già riportato espresssioni e addirittura
> passi che i destinatari di un "saggio divulgativo" difficilmente avrebbero
> potuto capire: e non parlo della massaia di Voghera, ma avevo fatto uno
> dei tanti esempi possibili di persone coltivate ma non in grado di
> comprendere certi termini e certe proposizioni (es. un chirurgo plastico,
> che pure non è ignorante ma che sfido a dire che cosa significa 'onda di
> probabilità' o 'onda di materia').
Io definirei quello di Heisenberg un saggio di *cattiva* divulgazione, pur
essendo sicuramente *nelle intenzioni* divulgativo. Ma penso che, in primis,
sia necessario chiarirsi circa il significato di "divulgazione".
"Divulgare", nel caso di un saggio scientifico (per restare al nostro caso)
non significa *meramente* "rendere pubblico". Non significa solo, voglio
dire, mettere qualcosa "a disposizione" di un pubblico costituito
indistintamente da massaie di Voghera, da chirurghi plastici di starlette o
da pescivendoli di Venezia... penso che su questo concorderai. Significa,
invece, rendere accessibile alla *comprensione* di un pubblico piu' vasto
cio' che
e' conoscenza acquisita da una comunita' scientifica piu' ristretta. Questo
comporta l'esistenza di un linguaggio specialistico, da parte del
divulgatore, e di un linguaggio non-specialistico (almeno della branca
scientifica del divulgatore), da parte del destinatario dell'opera
divulgativa. Se non c'e' questa differenza tra un linguaggio A (del
divulgatore) e un linguaggio B (del destinatario), non c'e' divulgazione. Se
un fisico tiene una conferenza a un'assemblea di fisici, circa una nuova
scoperta di cui quest'ultima e' ancora all'oscuro, trattasi di
"divulgazione"? No, non lo e' nel senso piu' preciso di cui sto dicendo. Ma
non lo e' neppure comunicare con un linguaggio che pretenda di essere
compreso tanto dal chirurgo plastico quanto dal pescivendolo di Venezia. Il
divulgatore deve selezionare il suo destinatario, in base a quel linguaggio
B, che non e' ne' quello comune del mercato del pesce ne' quello
specialistico del chirurgo plastico. B e' un linguaggio intermedio (piu' o
meno astratto a seconda della scelta del destinatario), che costituisce
nello stesso tempo un vincolo per la comprensibilita' sia del divulgatore
(per cio' che comunica) sia del destinatario (per la corretta assimilazione
di cio' che gli e'
comunicato). In parole povere: il divulgatore deve "venire incontro" al
destinatario, tanto quanto quest'ultimo al primo.
A questo punto sarebbe opportuno un esempio che illustri quanto ho detto.
Potrebbe essere quello della teoria della relativita'; argomento che per
varie ragioni ha conquistato l'interesse di un pubblico ben piu' vasto di
quello dei fisici e su cui si e' scritto molto a livello divulgativo,
compresa molta paccottiglia. Einstein una volta disse, evidentenmente in un
accesso di umorismo, che non puoi dire di aver capito una cosa se non la sai
spiegare a tua nonna. No, non e' certo il caso della teoria della
relativita'. Non puo' essere certo divulgata nel linguaggio della matematica
superiore usato dai fisici: sarebbe un'opera di *buona* divulgazione
un'introduzione ai suoi concetti fondamentali che facesse ricorso, come
linguaggio B, alla matematica delle quattro operazioni, oltre alla radice
quadrata. Beh, facendo ricorso alla mia memoria, penso che questo sia un
esempio di *buona* divulgazione:
http://www.goodreads.com/book/show/12601057-la-relativita-con-le-quattro-operazioni
>> Si puo' benissimo sostenere che "questo
>> modo di esprimersi e' infelice!", come dici tu, Pangloss, parlando da
>> fisico.
> Da fisico di oggi. E con opinioni sue sulla fisica (non ho trovato qui
> dentro una definizione che stesse minimamente in piedi e che non fosse
> personale, e non parliamo dei dizionari).
> Ho già detto che questo saggio di H. ha fini diversi dalle formulette
> canoniche e dalla divulgazione, e il fatto che ne sto analizzando qui dei
> passi è proprio alla ricerca di questa motivazione profonda, che non è
> "fisica". E che è "filosofica" con tante di quelle forzature personali
> (vedi cosa dice di Cartesio e di Kant) che fa intuire un'ideologia come
> movente di fondo.
Su questo in parte concordo. Chiarisco perche' "in parte". Che vi sia un
intento divulgativo mi sembra indubbio, almeno relativamente a qualche
concetto della fisica. Lo dimostrano le citazioni qui gia' riportate e molte
altre che si potrebbero fare. Pero' hai ragione nel dire che il saggio ha un
fine diverso e certamente piu' ambizioso (del resto il titolo stesso,
"Fisica e filosofia", dovrebbe farlo sospettare). Quale fine? L'idea che mi
sono fatto e' questa: H. vorrebbe estendere "filosoficamente" una sorta di
principio di complementarieta' tra linguaggio della fisica e linguaggio
comune. Vuoi sapere cosa in definitiva ne penso? L'operazione risulta quella
di una *cattiva* divulgazione della fisica e, per quanto riguarda la
filosofia... beh, se e' superfluo sconsigliare il libro ad un fisico, forse
non lo e' sconsigliarlo anche al filosofo. C'e' solo un concetto che
salverei, ma di cui eventualmente parleremo in altra occasione.
>> Il "paradosso" si nullifica con un "contro-paradosso": se
>> l'intervallo A...B, intervallo *quanto si voglia* breve e definito
>> convenzionalmente come "presente" che separa "passato" e "futuro",
>> contiene il paradosso di un suo qualsiasi sotto-intervallo (p.e.
>> A...C, dove A<C<B), contiene anche il contro-paradosso di due
>> intervalli (p.e. A'...A, dove A'<A, e B...B', dove B<B'), che
>> convenzionalmente definiscono il "presente" come l'elemento
>> intermedio individuato dal "passato" e dal "futuro".
> A' e B' definiscono un sovra-intervallo, e quindi non si fa che ripetere
> specularmente il paradosso se si definisce come "presente" l'intervallo
> A'-B'. Ma H. stesso complica la faccenda in uno dei passi che hai citato,
> e che non commenterò qui.
Ma e' proprio nel fatto che non e' definibile un intervallo, senza che sia
definibile sia un sotto-intervallo sia un sovra-intervallo (sia per lo
spazio che per il tempo), che il "paradosso" si risolve. Si risolve perche'
senza di esso non sarebbe possibile ne' la rappresentazione del tempo, ne'
quella dello spazio: ambedue *sono* il "paradosso" per cui ogni intervallo
e' ulteriormente suddivisibile in sotto-intervalli e ulteriormente
estendibile in sovra-intervalli.
Un saluto,
Loris
Received on Fri Mar 07 2014 - 23:59:53 CET