Il 25 Mag 2003, 20:41, Slacky <vittorio_at_physics.it> ha scritto:
> Ciao,
> visto che qualcun altro(Moretti) ha gia' risposto dilungandosi un sacco,
> mi permetto solo un brevissimo commento:
> > E se ogni elettrone presente nella materia si trova nelle condizioni di
> > "nube in sovrapposizione di stati" allora � facile pensare che il
> > "collasso" di quelle nubi di elettroni avvenga in modo naturale e
continuo
> > nella materia, per ogni singola perturbazione che essa incontra, sia
> > essa un fotone o un'altro elettrone che collida con essa e che succeda
> > pure il contrario essendo un fenomeno reversibile.
> ......taglio.....
>
> le processi elementari, cioe' i processi di scattering fra particelle
> piu' o meno elementari sono ben studiate e mi risulta proprio che in
> questi processi non c'e' *nessun* collasso. Dunque perche' questo
> avvenga *bisogna* che uno dei due (almeno due) elementi che
> interagiscono sia "abbastanza" macrosocopico...macroscopicita' che, come
> e' gia' stato detto, non si capisce bene cosa sia all'interno del
> formalismo :-(
> Non vorrei propinare al gruppo una boiata storica, ma mi sembra che Bell
> abbia detto qualcosa del tipo
> "...ma in fondo quello che accade nei laboratori accade naturalmente
> anche altrove in natura e dunque dobbiamo supporre che il collasso
> avvenga naturalmente in natura"(non e' una citazione esatta, vado a
memoria)
> ....ma penso che Bell avesse chiaro in mente il problema della
> distinzione fra macro e micro.
> ciao
> slacky
Mi sento inderettamente chiamato in causa, provo ad articolare il
tuo argomento, per come lo recepisco.
La mia sensazione e' che la seconda quantizzazione compia un passo
avanti rispetto a questo problema, non che lo risolva, ma permette
di trattare i processi di assorbimento e riemissione in un modo che
a me sembra approdare ad una raffigurazione essenzialmente differente
da quella mediante funzione d'onda.
Un atomo e' di fatto capace di assorbire un quanto di luce. Tuttavia:
quando un fotone viene assorbito da un cristallo fotografico innescando
una modificazione chimica, possiamo dire che il fotone e' stato
"misurato". L'obiezione che ne discende all'uso del termine macroscopico
e', in questo ambito, molto pertinente.
Considerando il caso di un dispositivo di rivelazione ottico piu'
sofisticato,
una fotocellula ad esempio, cosa succede? Cosa significa che l'atomo
fotonicamente attivo che abbiamo collocato al centro del dispositivo
ha prodotto un fotone che ha innescato la fotocellula? In termini
classici non significava altro che questo.
Questa e' una tipica cosa che succede in laboratorio, ed a volte anche
in natura.
Prima della QED non c'erano
strumenti adeguati a trattare una fotocellula, non c'era modo di entrare
nel merito del funzionamento. Dopo, mettendo insieme il concetto di
indistinguibilita', quello di seconda quantizzazione, si riesce a trattare
l'oggetto come una composizione statistica di processi elementari. E'
un trattamento approssimato, ma l'approssimazione possibile e' sovente
talmente buona da non farci desiderare di meglio.
Ed in questo ambito invece l'obiezione diventa piu' difficile da
formulare. Perche' e' la misurazione di un fotone e' proprio
un'interazione micro-mega. E lo stato della parte "mega" non e'
ben chiaro cosa sia diventato dopo tutta la trattazione statistica.
Per me e' gia' difficile, per esempio, avere un'idea di che differenza
passi fra una molecola nel buio di una scatola molto fredda ed una
molecola in una scatola luminosa.
Oppure, ad esempio, attribuire un senso ad un modello di forma molecolare.
Cosa avviene quando due molecole si urtano? Possono attraversarsi?
Oppure c'e' un'alta probabilita' che interagiscano? E l'interazione
puo' fornire una eccitazione ottica? Evidentemente questo tipo di domande
pure se difficili da trattare ammettono delle risposte mediante l'uso
della meccanica quantistica, ma per capire come si comporta un
complesso se sento uno che dice: "consideriamo la funzione d'onda
complessiva
del sistema" sospetto gia' che quella funzione d'onda verra' macinata
da un formalismo per cui alla fine non sara' piu' la funzione d'onda a
descrivere il sistema, ma qualche matrice densita' o qualcosa di piu'
complesso come un funzionale densita'. Ed in questo "che spazio ha poi
la riduzione del pacchetto d'onda?" non sembra affatto una domanda
sensata. O meglio e' una domanda che non riguarda il trattamento
del problema specifico. E quindi alla fine una lancetta d'orologio
e' un oggetto "classico" perche' garantito che le interazioni tengono
insieme le parti coerentemente con le leggi della meccanica quantistica,
che permettono di prevedere le proprieta' di conduzione, ottiche, almeno
in parte con un discreto successo, garantito questo, dicevo, la posizione,
la velocita' del complesso risultano a conti fatti del tutto classiche,
visto quanto e' piccola la costante di Planck.
Mi aspetto, visto che non posso esigerle, critiche molto puntuali
a questo punto di vista. Possibilmente anche offensive, del
tipo, "sei molto ignorante, perche' in verita' una descrizione
mediante funzione d'onda di un sistema macroscopico, non solo
e' possibile, ma e' l'unica sensata quando il sistema e' perfettamente
isolato, infatti, se vai a leggere il tal dei tali, trovi molte
profonde deduzioni sul comportamento del tal sistema, basato su
questo approccio" insomma non mi dilungo, avrete capito.
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Received on Mon May 26 2003 - 01:09:12 CEST