Bruno Cocciaro ha scritto:
> Scusami Elio, permettimi di spostare il discorso su un livello ancora
> piu' semplice dove direi di muovermi meglio e dove mi pare che si
> possano fare considerazioni analoghe: rimaniamo al metodo della
> parallasse.
Naturalmente stai parlando di quella che nel gergo astronomico si
chiama "parallasse diurna".
Perche' poi c'e la "parallasse annua", che serve per misurare le
distanze delle stelle.
> Anche qui non si misurano distanze (se definiamo "misura
> di distanza" cio' che si fa con il regolo), si misurano angoli e una
> distanza (ad esempio il diametro della Terra che si puo' misurare con
> il regolo, ad esempio con il metodo di Eratostene, una volta assunta
> altra roba: sfericita' della Terra, validita' della geometria euclidea
> su distanze dell'ordine del diametro della Terra ...). Da queste
> misure, e dalla assunzione di teorie verificate ampiamente "nel
> piccolo", ne induciamo altre misure "in grande" alle quali diamo il
> nome di distanza.
In realta' devi assumere parecchio di piu': validita' della geom.
euclidea almeno da qui al Sole, propagazione rettiline della luce
sulla stessa estensione.
Un'estrapolazione di molti ordini di grandezza da quello che si puo'
verificare sulla Terra.
> Quello che io sto semplicemente sostenendo e' che abbiamo *buoni
> motivi* per chiamare "distanza" una misura del genere e a me pare che
> i buoni motivi risiedano nel fatto che, per quanto si siano misurati
> angoli e una distanza, per ottenere un risultato che e', poniamo,
> a*10^b metri, possiamo dire che *in via di principio*, quello stesso
> risultato avremmo potuto ottenerlo allineando a*10^b regoli di
> lunghezza unitaria.
Ecco, qui non sono d'accordo.
E' il tuo "in linea di principio" che non mi convince, perche'
operativamente non significa niente.
Preferisco presentare lo stesso argomento in modo diverso.
Abbiamo due procedure di misura: quella coi regoli e la parallasse,
che *in linea di principio* definiscono grandezze diverse.
Abbiamo poi una "zona di sovrapposizione", in cui entrambe le procedure
sono applicabili (misure terrestri) e forniscono risultati concordi.
Allora *assumiamo* che tutto cio' che vale alla nostra scala per il
metodo dei regoli valga anche a una scalal molto piu' ampia per la
parallasse.
Tra parentesi, mi pare che questo sia in accordo con la posizione di
Bridgman, ma non e' il punto centrale.
Centrale e' invece il fatto che poi si puo' scoprire che questo
accordo non vale, come e' mostrato ad es. dalla defl. gravitazionale
della luce.
Questo obbliga a rivedere la procedura; dal punto di vista delo
sperimentale, a introdurre delle "correzioni".
> Direi che discorsi analoghi si possano fare per le masse delle
> particelle elementari. Qualora volessimo assumere come definizione di
> massa il risultato della misura che si effettua con la bilancia,
> potremmo dire che, in via di principio, la massa di una particella si
> potrebbe misurare con una bilancia.
> Poi la RR ci dice che il quadrato di quella misura e' invariante.
> A questo punto a me pare lecita la domanda:
> "Come possiamo credere nell'esistenza di enti associati a invarianti
> m^2 negativi? Eseguendo (anche solo idealmente) la misura di massa
> (cioe' quello che si fa con la bilancia) su questi enti che risultato
> ci si dovrebbe attendere?"
Infatti io coerentemente con la mia posizione la metto cosi'.
Esiste una teoria (la RR) che prevede un certo invariante, che puo'
assumere valori positivi, nulli o negativi.
Quanto il valore e' positivo, si puo' dimostrare che al limite di
piccole velocita' (sempre realizzabile mettendosi in un rif.
opportuno) la radice di quell'invariante coincide con la massa della
mecc. newtoniana (e preferirei concentrarmi sulla massa inerziale).
Percio' nel caso positivo sono autorizzato a chiamare massa la radice
dell'invariante, anche quando lo determino con misure che non hanno
niente a che vedere con quelle della mecc. newtoniana.
Quando l'invariante e' negativo questo non si puo' fare: embe'? Al
piu' evitero' di usare la parola "massa" e peggio ancora di parlare di
"massa immaginaria".
--
Elio Fabri
[...] il pilone era quasi completamente ricomparso, con il suo legno
nerastro e viscido circondato da grappoli di schiuma. Era la marea,
aveva cercato di spiegargli suo padre, ma lui aveva sempre saputo che
era il pilone. Solo che certe volte non lo si vedeva. Senza pilone,
non c'era nemmeno la marea.
Received on Tue Oct 11 2011 - 21:01:27 CEST