--- da: http://www.lastampa.it/_web/_RUBRICHE/cielo/default_cielo.asp In un articolo su "Europhysics News" Erik Hoeg, dell'Universit� di Copenhagen, si � divertito a confrontare l'idea delle dimensioni dell'universo che aveva Claudio Tolomeo (vissuto tra il 100 e il 170 dopo Cristo) con quanto sappiamo oggi dalla scienza moderna. Vale la pena di notare, preliminarmente, che Tolomeo riassume nella sua visione del mondo tutte le conquiste astronomiche degli antichi, da Aristotele ad Ipparco, e che la sua "Megale Syntaxis", l'"Almagesto" tramandatoci dalla cultura araba, detta legge fino alla morte Tycho Brahe, avvenuta nel 1601: la sua cosmologia, quindi, � tuttora di gran lunga la pi� longeva, avendo dominato per duemila anni, mentre la nostra pu� vantare al massimo qualche decennio e quasi non passa giorno senza subire ritocchi per adattarsi alle nuove osservazioni. Dunque: Tolomeo conosceva gi� molto bene il raggio della Terra, che Eratostene aveva misurato in circa 6000 chilometri, e la distanza della Luna, stimata in 60 raggi terrestri. Gi� con il Sole le cose vanno male: per Tolomeo distava 1210 raggi terrestri (sempre meglio di Anassagora, che nel 450 aventi Cristo lo immaginava ad appena ventimila chilometri - il viaggio da Roma a Sidney, in Australia - e lo faceva grande come il Peloponneso). Bisogna aspettare fino al 1770 per avere un dato abbastanza preciso: 25 mila raggi terrestri. Passando alle stelle, Tolomeo le poneva a 20 mila raggi terrestri, e questo per lui era anche il limite estremo dell'universo. Ora, 20 mila raggi terrestri sono meno della distanza del Sole ed equivalgono a 0,000014 anni luce, mentre la stella pi� vicina � a 4,3 anni luce e i confini del cosmo sono a 13,7 miliardi di anni luce stando ai dati pi� recenti (2003, satellite MAP). L'uomo antico, possiamo concludere, sottovalutava l'universo. E di noi che cosa diranno tra qualche secolo? Torniamo alla cosmologia antica. Per poter fare politica, nel 1295 Dante Alighieri si iscrive alla Corporazione dei Medici e degli Speziali, una lobby che evidentemente gi� allora pesava parecchio. Con le discipline del Trivio e del Quadrivio, per�, Dante nei suoi studi aveva incontrato anche l'astronomia, probabilmente amandola assai pi� dell'arte medica. La "Divina Commedia" lo dimostra chiaramente: basta pensare ai meravigliosi endecasillabi che Dante dedica ai pianeti Marte e Venere, al secondo canto del Paradiso, nel quale quella saputella di Beatrice lo ammaestra sulla vera sostanza che costituisce la Luna, e al fatto che tutte e tre le cantiche sono sigillate dalla parola "stelle", lasciando il lettore davanti alla loro visione sublime, liberatrice e rasserenante. Nel suo poema Dante adotta, ovviamente, la cosmologia aristotelica tramandata da Tolomeo. Ma cristianizzandola. Le stelle di Dante sono fisse, incorruttibili, eterne. Il Settimo Cielo, nel quale sono incastonate, � adiacente al "primo mobile". Fin qui tutto bene: � la visione cosmologica che l'autorit� dello Stagirita aveva saldamente fondato. Tuttavia ho sempre trovato curioso e sconcertante che esattamente al centro della Terra, e quindi al centro dell'Universo secondo le idee dell'epoca, Dante abbia collocato i genitali di Lucifero. Tutto ruoterebbe intorno ad essi, che dobbiamo supporre immobili. Contaminando la cosmologia dantesca con quella moderna, di l�, da quei possenti e irsuti genitali, si sarebbe irradiato il Big Bang. L'intero universo sarebbe partito dal sesso luciferino per espandersi fino al Settimo Cielo. Davvero una cosmologia diabolica.Received on Fri Nov 05 2004 - 22:41:28 CET
This archive was generated by hypermail 2.3.0 : Fri Nov 08 2024 - 05:10:23 CET